Associazione Astrofili Trentini
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I miti della notte


Se percorriamo rapidamente con lo sguardo una carta celeste, non possiamo non rimanere incuriositi e affascinati dai nomi che sono stati attribuiti alle costellazioni: il cielo ci appare popolato di personaggi mitologici, di oggetti misteriosi e di animali più o meno fantastici.

Le origini di gran parte delle costellazioni del nostro emisfero si perdono nella notte dei tempi: non sappiamo con esattezza quando e da chi esse siano state inventate; probabilmente nacquero nel momento stesso in cui l'uomo cominciò a osservare gli astri e immaginò di vedere rappresentate in cielo cose della vita quotidiana o religiosa. Poeti e scrittori antichi raccolsero i miti e le leggende che si vennero creando intorno a quelle figure di stelle: Arato, Ovidio, Manilio ci raccontano storie favolose, che restituiscono alla volta stellata un fascino d'altri tempi, oggi forse un po' dimenticato.

In queste notti d'agosto, mentre attendiamo di vedere la scia luminosa di qualche "lacrima di San Lorenzo", possiamo dunque divertirci a riconoscere e osservare le costellazioni con gli occhi del bambino o del poeta, lasciando correre la nostra fantasia e rivivendo gli antichi racconti che diedero vita ai disegni delle stelle.

Due delle costellazioni più celebri dell'emisfero settentrionale sono senza dubbio le due Orse: l'Orsa Maggiore, con le sette stelle chiamate anche Grande Carro, e l'Orsa Minore, meno luminosa ma contraddistinta dalla presenza della Stella Polare, la stella che indica il polo nord celeste. Secondo la mitologia greca, queste costellazioni raffigurano le due ninfe che allattarono il neonato Zeus, re degli dei. Dopo aver visto le figure delle Orse, gli osservatori più attenti si chiedono come mai le rappresentazioni celesti abbiano una lunga coda: è risaputo, infatti, che in realtà gli orsi hanno una coda assai più corta. Gli antichi nulla dicono al riguardo. A risolvere l'enigma ci pensò, con ironia, un astronomo inglese di fine Cinquecento, Thomas Hood: le code, egli disse, si sono allungate quando gli dei sollevarono da terra le orse per portarle in cielo, afferrandole appunto per la coda.

Altre due costellazioni evidenti dei cieli estivi sono il Cigno e l'Aquila, facilmente individuabili grazie a due stelle alquanto luminose, rispettivamente Deneb e Altair. Secondo la leggenda, questi due animali vennero collocati da Zeus tra le stelle per ricordare una delle sue tante avventure amorose: il re degli dei si era invaghito della bella Nemesi, ma quest'ultima non era affatto disposta a concedersi a lui. Per vincere le sue resistenze, Zeus si trasformò in cigno e diede istruzioni alla dea Afrodite affinché fingesse di dargli la caccia sotto forma di aquila. Nemesi cadde nel tranello: impietosita, diede riparo al cigno in fuga... e si ritrovò fra le braccia di Zeus.

Volgendo lo sguardo allo spazio tra il Cigno e l'Aquila, nei pressi di Altair, ci si imbatte in una modesta costellazione, non molto luminosa, ma assai caratteristica. Si tratta del Delfino: un piccolo rombo di stelle seguito da una breve coda. Nell'antichità si narrava che fu Apollo, dio delle arti, a collocare il delfino tra le costellazioni, come ricompensa per aver salvato la vita al poeta Arione. Mentre era in viaggio per mare, Arione venne aggredito dai marinai della nave, che volevano ucciderlo e rubargli i denari: quando lo circondarono con le spade sguainate, il poeta chiese ed ottenne la grazia di poter cantare per un'ultima volta. Poi, spinto dalla disperazione, si gettò in mare: ma il suo canto dolcissimo aveva attirato nei pressi della nave un branco di delfini, uno dei quali se lo prese sul dorso e lo portò sano e salvo a riva.

Le due stelle più luminose della costellazione del Delfino hanno dei nomi molto curiosi: Sualocin e Rotanev. Tali nomi vennero attribuiti loro nel 1814 dall'astronomo italiano Niccolò Cacciatore. Se li leggiamo al contrario, essi diventano Nicolaus Venator, ossia la traduzione latina di Niccolò Cacciatore: grazie a questo trucco ingegnoso, egli è l'unico uomo che sia riuscito a dare il proprio nome a delle stelle.

In questo periodo dell'anno, non appena fa buio, quasi esattamente sopra le nostre teste vediamo una stella molto luminosa, una delle più brillanti di tutto il cielo: si tratta di Vega, che con Deneb e Altair forma il cosiddetto "triangolo estivo". Vega fa parte della Lira: questa piccola costellazione rappresenta lo strumento di Orfeo, il mitico cantore che era in grado di ammaliare ogni creatura che lo ascoltasse. Quando la moglie Euridice venne uccisa dal morso di un serpente, Orfeo si recò nell'oltretomba per implorare che le fosse restituita la vita: il suo canto intenerì anche Ade, dio dei morti, che volle soddisfare la richiesta. Ad una condizione: Orfeo non doveva voltarsi a guardare indietro finché lui ed Euridice non fossero usciti dall'oltretomba. Ma quando furono ormai giunti quasi alle soglie del mondo dei vivi, Orfeo non poté impedirsi di controllare che la moglie lo stesse seguendo e si voltò: ed Euridice venne trascinata indietro nel regno dei morti. Oppresso dal dolore, Orfeo si ritirò in solitudine e respinse tutte le donne che si offrirono di sposarlo: il poeta latino Ovidio racconta che allora alcune fanciulle, offese dal suo rifiuto, lo assalirono e lo fecero a brani. L'ombra di Orfeo scese nell'oltretomba, dove rimase per sempre assieme alla sua amata Euridice.

Il viaggio nel mondo favoloso delle costellazioni potrebbe continuare a lungo: Pegaso, Andromeda, Cassiopea domineranno prossimamente i cieli autunnali. Vorrei invece concludere questo breve percorso tra le stelle rammentando un problema che negli ultimi anni si è fatto sempre più incombente: mi riferisco al problema dell'inquinamento luminoso. Il cielo notturno è troppo spesso rischiarato da una illuminazione prepotente, inutile e dispendiosa, che ci impedisce di gustare la magnificenza della volta celeste e ci sottrae il piacere anche di una semplice osservazione. Com'è possibile riconoscere una costellazione, quando tutto ciò che si vede è a mala pena qualche stella sperduta su uno sfondo lattiginoso? Come facciamo a scorgere Sualocin e Rotanev, se non riusciamo neppure a discernere le sette stelle dell'Orsa Maggiore? E che dire delle stelle cadenti? Solamente salendo sulle montagne, via, lontano dai centri abitati, lontano dai campi sportivi illuminati a giorno, lontano dai fari rotanti delle discoteche, possiamo sperare di cogliere alcune "lacrime di San Lorenzo" in tutta la loro suggestiva bellezza.

Noi, uomini d'oggi, stiamo perdendo un patrimonio che gli antichi potevano apprezzare intatto: solo affrontando e risolvendo il problema dell'inquinamento luminoso, potremo ancora vedere, anche dal balcone di casa nostra, un'Aquila e un Cigno volare tra le stelle e magari, nelle notti più silenziose, sentire di nuovo il suono sublime della Lira di Orfeo.


Marco Murara (e-mail)
agosto 1998


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