Associazione Astrofili Trentini
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Vita su altri mondi


Quattro secoli fa Galileo volgeva, primo scienziato nella storia dell'uomo, il suo rudimentale cannocchiale verso le stelle. Da allora l'Universo ci ha svelato molti dei suoi misteri, ma altrettanti, è certo, rimangono ancora da scoprire, celati nelle profondità dello spazio siderale.

Oggi siamo addirittura in grado di spedire dei messaggi verso stelle lontane, nella speranza che ci sia qualcuno ad ascoltarli: sarebbe entusiasmante scoprire su uno di quei mondi, sfavillanti occhi d'elio nel cielo, una civiltà extraterrestre che si pone le nostre stesse domande sul creato.

In questi giorni verrà attivato il progetto Encounter 2001, che prevede l'invio tramite un radiotelescopio di un messaggio verso alcune stelle, che faccia in qualche modo sapere al cosmo della nostra esistenza. Recentissima è la notizia del ritrovamento di nuove tracce di microfossili su alcune meteoriti marziane recuperate in Antartide, ad opera di scienziati americani. Sui satelliti di Giove vi sono oceani d'acqua sommersi che aspettano di essere esplorati e la scoperta di pianeti extrasolari sta diventando quasi una routine.

Insomma, la vita non sembra proprio una prerogativa solo terrestre: forse siamo davvero vicini allo storico "primo contatto", la scoperta di una intelligenza E.T. Una verifica di questo genere è tuttavia ancora al di fuori delle nostre possibilità strumentali, ma affascinante è capire a che punto sono le speranze che ciò si realizzi.

L'osservazione diretta di un pianeta attorno ad un'altra stella è per ora impossibile, trattandosi di un corpo celeste troppo piccolo e lontano per essere fotografato in maniera distinta: ma tra qualche anno saranno disponibili tecniche di misurazione che permetteranno una tale ripresa. Non solo: potremmo scoprire anche la composizione dell'atmosfera di questi pianeti extrasolari, verificando la presenza di ossigeno e vapore acqueo, indicatori di possibili forme di vita.

Le ricerche volte all'individuazione di intelligenze extraterrestri, che vanno sotto il nome generico di S.E.T.I. (search of extraterrestrial intelligence) non sono mancate. Verso la fine del secolo scorso l'attenzione del mondo era puntata verso Marte, grazie alle osservazioni dell'italiano Schiaparelli e dell'americano Lowell che vedevano sul pianeta rosso calotte di ghiaccio, regioni "verdi", canali artificiali. Queste formazioni furono identificate come fenomeni naturali dalle sonde spaziali decenni dopo, ma il mito marziano, il piccolo omino verde come extraterrestre per antonomasia, vive ancora.

Recenti sviluppi sperimentali hanno confermato che la presenza di pianeti attorno alle stelle è un fatto assolutamente normale, ma nulla ci possono dire della presenza, su tali corpi planetari, di civiltà intelligenti. Anche le attuali sonde spaziali impiegherebbero centinaia di migliaia d'anni prima di raggiungere queste mete.

La speranza più consistente è riposta nell'osservazione con i radiotelescopi, che sono in grado di rilevare un'emissione di tipo radiofonico (o televisivo) a distanze di decine d'anni luce. I problemi tuttavia sono due: dove puntare gli strumenti e su quale frequenze sintonizzarsi? L'attenzione degli astronomi è rivolta soprattutto alle stelle di tipo solare. Per quanto riguarda la frequenza da ascoltare si è supposto che eventuali esseri extraterrestri possano scegliere per comunicare una banda poco disturbata dalle sorgenti naturali, in modo tale da far pensare ad un'origine artificiale del segnale. L'intervallo fra i 1420 e 1665 MHz (la cosiddetta "pozza dell'acqua") sembra una buona idea. Anche così però le frequenze da analizzare sarebbero un numero enorme: un po' come avere un telecomando con dieci miliardi di canali, e non sapere neppure se qualche "emittente" sta trasmettendo in questo momento. Questo è ciò che si sta facendo attualmente, utilizzando diversi radiotelescopi nel mondo per "ascoltare" lo spazio, con una tecnica che non interferisce con le altre ricerche ed è molto economica. Nessun progetto però ha portato finora a risultati positivi.

Alcuni scienziati hanno pensato di inviare un messaggio verso lo spazio profondo: l'idea si è concretizzata nel 1974 quando dal radiotelescopio di Arecibo è stato spedito un segnale verso l'ammasso di stelle noto come M13. La risposta, se mai ne verrà una, non giungerà prima di 50.000 anni. Alcuni hanno ravvisato l'imprudenza di segnalare in questo modo la nostra presenza all'universo. La storia, perlomeno quella terrestre, insegna che il contatto fra due civiltà differenti è spesso traumatico per quella meno evoluta tecnologicamente e militarmente. Ma è troppo tardi. Ormai da 40 anni stiamo inondando lo spazio con le nostre potenti trasmissioni televisive e radiofoniche, e certo non possiamo fermarle. Altri sostengono che le civiltà più evolute della nostra potrebbero benissimo utilizzare tecniche sconosciute per comunicare: il nostro pianeta sarebbe letteralmente immerso in questi segnali che non siamo in grado, per ora, di riconoscere. Le nostre onde radio, per queste intelligenze, potrebbero essere l'equivalente tecnologico del tam-tam di tamburi.

Ma perché dedicare tempo, energia e soldi a queste ricerche, che paiono avere così poche possibilità si successo? Perché, dicono gli scienziati promotori dei progetti S.E.T.I., dopo averne sottolineato l'economicità, lo scambio di informazioni che seguirebbe ad un "primo contatto" avrebbe un valore incalcolabile: forse potremmo acquisire conoscenze scientifiche che altrimenti richiederebbe migliaia di anni per essere conquistate.

Auguriamoci allora di non essere soli nel nostro viaggio cosmico.


Christian Lavarian (lavarian@science.unitn.it)
marzo 1999


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