Ad Andrea Cioli in Firenze

23 luglio 1633


Illustrissimo Signore e Padron Colendissimo

Non ho passato ordinario senza scrivere al Signor Geri Bocchineri intorno a i progressi del mio negozio, il quale non averà passato accidente alcuno di momento senza participarlo a Vostra Signoria Illustrissima, ché tale era il nostro appuntamento; e però rare volte ho scritto a lei in proprio, in riguardo anco alle molte e continue sue occupazioni da non doversi accresciere senza necessità. Gli scrivo adesso, spinto dal desiderio di liberarmi dal lungo tedio di una carcere di più di 6 mesi già passati a giunta al travaglio e afflizzion di mente di un anno intero, e anco non senza molti incomodi e pericoli corporali; e tutto addossatomi per quei miei demeriti che son noti a tutti, fuor che a quelli che mi hanno di questo e di maggior castigo giudicato colpevole. Ma di questo altra volta.

Il tempo della mia carcerazione non ha altro limite che la volontà di Sua Santità, la quale, alle richieste e intercessioni del Signor Ambasciatore Niccolini, si contentò che in luogo delle carcere del Santo Offizio mi fusse assegnato il palazzo e giardino de' Medici alla Trinità, dove stetti alcuni giorni; fatta poi, per alcuni miei rispetti, nuova instanza dal medesimo Signor Ambasciatore, fui rimesso qui in Siena nell'Arcivescovado, dove sono da 15 giorni in qua tra gl'inesplicabili eccessi di cortesia di questo Illustrissimo Arcivescovo. Io però, oltre al desiderio, averei gran necessità di tornare a casa mia e di esser restituito nella mia libertà, la quale si va conietturando da molti che sia riserbata per grazia speciale alla domanda del Signor Gran Duca, da non gl'esser negata, mentre si vede quanto si è impetrato alle sole dimande del Signor Ambasciatore. Prego per tanto Vostra Signoria Illustrissima, e per lei il Serenissimo Padrone, a restar servito di favorirmi di una domanda a Sua Santità o al Signor Cardinale Barberino per la mia liberazione; dove per maggiore efficacia potrà inserirsi la mancanza del mio servizio di tanto tempo, figurandola di qualche maggior progiudizio per la Casa di Sua Altezza di quello che veramente è. Si crede, come ho detto, da tutti quelli con i quali ne ho parlato e da gl'istessi ministri del Santo Offizio, che la grazia a tanto intercessore non sarà negata.

Confido tanto nella benignità del Signor Gran Duca mio Signore e nel favore di Vostra Signoria Illustrissima, che reputerei superfluo l'aggiugnere altre preghiere. Starò per tanto attendendone l'effetto, mentre con umiltà alla Sua Altezza bacio la veste, e nella buona grazia e protezione di Vostra Signoria Illustrissima mi raccomando.

Di Siena, li 23 di Luglio 1633.

Di Vostra Signoria IllustrissimaDevotissimo e Obbligatissimo Servitore
Galileo Galilei


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