Giornata Seconda (segue dalla pagina precedente)

SALV. Intendo benissimo, e converrà, doppo che avremo sentite le opposizioni al Copernico, che sentiamo, o veggiamo almeno, la maniera con la quale per via di parallasse dimostra essere state elementari quelle nuove stelle, che tanti astronomi di gran nome costituiron tutti altissime e tra le stelle del firmamento; e come quest'autore conduce a termine una tanta impresa, di ritirar di cielo le nuove stelle sin dentro alla sfera elementare, sarà ben degno d'esser grandemente esaltato e trasferito esso tra le stelle, o almeno che per fama sia tra quelle eternato il suo nome. Però spediamoci quanto prima da questa parte, che oppone all'oppinion del Copernico, e cominciate a portare le sue instanze.

SIMP. Queste non occorrerà leggerle ad verbum, perché sono molto prolisse; ma io, come vedete, nel leggerle attentamente più volte, ho contrassegnato nella margine le parole dove consiste tutto il nervo della dimostrazione, e quella basterà leggere. Il primo argomento comincia qui: Et primo, si opinio Copernici recipiatur, criterium naturalis philosophiæ, ni prorsus tollatur, vehementer saltem labefactari videtur. Il qual criterio vuole, secondo l'opinione di tutte le sette de filosofi, che il senso e l'esperienza siano le nostre scorte nel filosofare; ma nella posizion del Copernico i sensi vengono a ingannarsi grandemente, mentre visibilmente scorgono da vicino, in mezi purissimi, i corpi gravissimi scender rettamente a perpendicolo né mai deviar un sol capello dalla linea retta; con tutto ciò per il Copernico la vista in cosa tanto chiara s'inganna, e quel moto non è altrimenti retto, ma misto di retto e circolare.

SALV. Questo è il primo argomento che Aristotile e Tolomeo e tutti i lor seguaci producono: al quale si è abbondantemente risposto, e mostrato il paralogismo, ed assai apertamente dichiarato come il moto comune a noi ed a gli altri mobili è come se non fusse. Ma perché le conclusioni vere hanno mille favorevoli rincontri che le confermano, voglio, in grazia di questo filosofo, aggiunger qualche altra cosa; e voi, signor Simplicio, facendo la parte sua, rispondetemi alle domande. E prima, ditemi: che effetto fa in voi quella pietra la quale, cadendo dalla cima della torre, è cagione che voi di tal movimento vi accorgiate? perché se 'l suo cadere nulla di più o di nuovo operasse in voi di quello che si operava la sua quiete in cima della torre, voi sicuramente non vi accorgereste della sua scesa, né distinguereste il suo muoversi dal suo star ferma.

SIMP. Comprendo il suo discendere in relazione alla torre, perché or la veggo a canto a un tal segno di essa torre, poi ad un basso, e così successivamente, sin che la scorgo giunta in terra.

SALV. Adunque, se quella pietra fusse caduta da gli artigli d'una volante aquila e scendesse per la semplice aria invisibile, e voi non aveste altro oggetto visibile e stabile con chi far parallelo di quella, non potreste il suo moto comprendere?

SIMP. Anzi pur me n'accorgerei, poiché, per vederla mentre è altissima, mi converrebbe alzar la testa, e secondo ch'ella venisse calando, mi bisognerebbe abbassarla, ed in somma muover continuamente o quella o gli occhi, secondando il suo moto.

SALV. Ora avete data la vera risposta. Voi conoscete dunque la quiete di quel sasso, mentre senza muover punto l'occhio ve lo vedete sempre avanti, e conoscete ch'ei si muove, quando, per non lo perder di vista, vi convien muover l'organo della vista, cioè l'occhio. Adunque, tuttavoltaché senza muover mai l'occhio voi vi vedeste continuamente un oggetto nell'istesso aspetto, sempre lo giudichereste immobile.

SIMP. Credo che così bisognasse necessariamente.

SALV. Figuratevi ora d'esser in una nave, e d'aver fissato l'occhio alla punta dell'antenna: credete voi che, perché la nave si muovesse anco velocissimamente, vi bisognasse muover l'occhio per mantener la vista sempre alla punta dell'antenna e seguitare il suo moto?

SIMP. Son sicuro che non bisognerebbe far mutazion nessuna, e che non solo la vista, ma quando io v'avessi drizzato la mira d'un archibuso, mai per qualsivoglia moto della nave non mi bisognerebbe muoverla un pelo per mantenervela aggiustata.

SALV. E questo avviene perché il moto che conferisce la nave all'antenna, lo conferisce anche a voi ed al vostro occhio, sì che non vi convien muoverlo punto per rimirar la cima dell'antenna; ed in conseguenza ella vi apparisce immobile. E tanto è che il raggio della vista vadia dall'occhio all'antenna, quanto se una corda fusse legata tra due termini della nave: ora, cento corde sono a diversi termini fermate, e negli stessi posti si conservano, muovasi la nave o stia ferma. Ora trasferite questo discorso alla vertigine della Terra ed al sasso posto in cima della torre, nel quale voi non potete discernere il moto, perché quel movimento che bisogna per seguirlo, l'avete voi comunemente con lui dalla Terra né vi convien muover l'occhio; quando poi gli sopraggiugne il moto all'ingiù, che è suo particolare, e non vostro, e che si mescola co 'l circolare, la parte del circolare che è comune della pietra e dell'occhio, continua d'esser impercettibile, e solo si fa sensibile il retto, perché per seguirla vi convien muover l'occhio abbassandolo. Vorrei, per tòr d'error questo filosofo, potergli dire che, una volta andando in barca, facesse d'avervi un vaso assai profondo pieno d'acqua, ed avesse accomodato una palla di cera o d'altra materia che lentissimamente scendesse al fondo, sì che in un minuto d'ora appena calasse un braccio, e facendo andar la barca quanto più velocemente potesse, talché in un minuto d'ora facesse più di cento braccia, leggiermente immergesse nell'acqua la detta palla e la lasciasse liberamente scendere, e con diligenza osservasse il suo moto: egli primieramente la vedrebbe andare a dirittura verso quel punto del fondo del vaso dove tenderebbe quando la barca stesse ferma, ed all'occhio suo ed in relazione al vaso tal moto apparirebbe perpendicolarissimo e rettissimo; e pure non si può dir che non fusse composto del retto in giù e del circolare intorno all'elemento dell'acqua. E se queste cose accaggiono in moti non naturali, ed in materie che noi possiamo farne l'esperienze nel loro stato di quiete e poi nel contrario del moto, e pur, quanto all'apparenza, non si scorge diversità alcuna e par che ingannino il senso, che vogliamo noi distinguere circa alla Terra, la quale perpetuamente è stata nella medesima costituzione, quanto al moto o alla quiete? ed in qual tempo vogliamo in essa sperimentare se differenza alcuna si scorge tra questi accidenti del moto locale ne suoi diversi stati di moto e di quiete, se ella in un solo di questi due eternamente si mantiene?

SAGR. Questi discorsi m'hanno racconciato alquanto lo stomaco, il quale quei pesci e quelle lumache in parte mi avevano conturbato; ed il primo m'ha fatto sovvenire la correzione d'un errore, il quale ha tanto apparenza di vero, che non so se di mille uno non l'ammettesse per indubitato. E questo fu, che navigando in Soria, e trovandomi un telescopio assai buono, statomi donato dal nostro comune amico, che non molti giorni avanti l'aveva investigato, proposi a quei marinari che sarebbe stato di gran benefizio nella navigazione l'adoperarlo su la gaggia della nave per iscoprir vasselli da lontano e riconoscergli: fu approvato il benefizio, ma opposta la difficultà del poterlo usare mediante il continuo fluttuar della nave, e massime in su la cima dell'albero, dove l'agitazione è tanto maggiore, e che meglio sarebbe stato chi l'avesse potuto adoperare al piede, dove tal movimento è minore che in qualsivoglia altro luogo del vassello. Io (non voglio ascondere l'error mio) concorsi nel medesimo parere, e per allora non replicai altro, né saprei dirvi da che mosso, tornai tra me stesso a ruminar sopra questo fatto, e finalmente m'accorsi della mia semplicità (ma però scusabile) nell'ammetter per vero quello che è falsissimo: dico falso, che l'agitazion massima della gaggia, in comparazion della piccola del piede dell'albero, debba render più difficile l'uso del telescopio nell'incontrar l'oggetto.

SALV. Io sarei stato compagno de i marinari ed anche vostro, su 'l principio.

SIMP. Ed io parimente sarei stato, e sono ancora; né crederei co 'l pensarvi cent'anni intenderla altrimenti.

SAGR. Potrò dunque io questa volta farvi a tutti due (come si dice) il maestro addosso: e perché il proceder per interrogazioni mi par che dilucidi assai le cose, oltre al gusto che si ha dello scalzare il compagno, cavandogli di bocca quel che non sapeva di sapere, mi servirò di tale artifizio E prima io suppongo che le navi, fuste o altri legni, che si cerca di scoprire e riconoscere, sieno lontani assai, cioè 4, 6, 10 o 20 miglia, perché per riconoscer i vicini non c'è bisogno d'occhiali; ed in conseguenza il telescopio può, in tanta distanza di 4 o 6 miglia, comodamente scoprire tutto 'l vassello, ed anco machina assai maggiore. Ora io domando, quali in ispezie e quanti in numero siano i movimenti che si fanno nella gaggia, dependenti dalla fluttuazion della nave.

SALV. Figuriamoci che la nave vadia verso levante: prima, nel mar tranquillissimo, non ci sarebbe altro moto che questo progressivo; ma aggiunta l'agitazion dell'onde, ce ne sarà uno che, alzando ed abbassando vicendevolmente la poppa e la prua, fa che la gaggia inclina innanzi e indietro; altre onde, facendo andare il vassello alla banda, piegano l'albero a destra e a sinistra; altre posson girare alquanto la nave e farla defletter, diremo con l'artimone, dal dritto punto orientale or verso greco or verso sirocco; altre, sollevando per di sotto la carina, potrebber far che la nave, senza deflettere, solamente si alzasse ed abbassasse: ed in somma parmi che in spezie questi movimenti sien due, uno, cioè, che muta per angolo la direzion del telescopio, e l'altro che la muta, diremo, per linea, senza mutar angolo, cioè mantenendo sempre la canna dello strumento parallela a se stessa.

SAGR. Ditemi appresso: se noi, avendo prima drizzato il telescopio là a quella torre di Burano, lontana di qua sei miglia, lo piegassimo per angolo a destra o a sinistra, o vero in su o in giù, solamente quanto è un nero d'ugna, che effetto ci farebbe circa l'incontrar essa torre?

SALV. Ce la farebbe immediate sparir dalla vista, perché una tal declinazione, benché piccolissima qui, può importar là le centinaia e le migliaia delle braccia.

SAGR. Ma se senza mutar l'angolo, conservando sempre la canna parallela a se stessa, noi la trasferissimo 10 o 12 braccia più lontana, a destra o a sinistra, in alto o a basso, che effetto ci cagionerebbe ella quanto alla torre?

SALV. Assolutamente impercettibile; perché, sendo gli spazii qui e là contenuti tra raggi paralleli, le mutazioni fatte qui e là convien che sieno eguali, e perché lo spazio che scuopre là lo strumento è capace di molte di quelle torri, però non la perderemmo altrimenti di vista.

SAGR. Tornando ora alla nave, possiamo indubitabilmente affermare, che il muovere il telescopio a destra o a sinistra, in su o in giù, ed anco innanzi o indietro, 20 o 25 braccia, mantenendolo però sempre parallelo a se stesso, non può sviare il raggio visivo dal punto osservato nell'oggetto più che le medesime 25 braccia; e perché nella lontananza di 8 o 10 miglia la scoperta dello strumento abbraccia spazio molto più largo che la fusta o altro legno veduto, però tal piccola mutazione non me lo fa perder di vista. L'impedimento dunque e la causa dello smarrir l'oggetto non ci può venire se non dalla mutazion fatta per angolo, già che per l'agitazion della nave la trasportazion del telescopio in alto o a basso, a destra o a sinistra, non può importar gran numero di braccia. Ora supponete d'aver due telescopii fermati uno all'inferior parte dell'albero della nave, e l'altro alla cima non pur dell'albero, ma anco dell'antenna altissima, quando con essa si fa la penna, e che amendue sien drizzati al vassello discosto 10 miglia: ditemi se voi credete che, per qual si sia agitazion della nave e inclinazion dell'albero maggior mutazione, quanto all'angolo, si faccia nella canna altissima che nella infima. Alzando un'onda la prua farà ben dare indietro la punta dell'antenna 30 o 40 braccia più che il piede dell'albero, e verrà a ritirar indietro la canna superiore per tanto spazio, e la inferiore un palmo solamente; ma l'angolo tanto si altera nell'uno strumento quanto nell'altro: e parimente un'onda che venga per banda, trasporta a destra ed a sinistra cento volte più la canna alta che la bassa; ma gli angoli o non si mutano o si alterano egualmente; ma la mutazione a destra o a sinistra, innanzi o in dietro, in su o in giù, non reca impedimento sensibile nella veduta de gli oggetti lontani, ma sì bene grandissima l'alterazione dell'angolo: adunque bisogna necessariamente confessare che l'uso del telescopio nella sommità dell'albero non è più difficile che al piede, avvenga che le mutazioni angolari son eguali in amendue i luoghi.

SALV. Quanto bisogna andar circospetto prima che affermare o negare una proposizione! Io torno a dire, che nel sentir pronunziar resolutamente che per il movimento maggiore fatto nella sommità dell'albero che nel piede, ciascuno si persuaderà che grandemente sia più difficile l'uso del telescopio su alto che a basso. E così anco voglio scusar quei filosofi che si disperano e si gettan via contro a quelli che non gli voglion concedere che quella palla d'artiglieria, che e veggon chiaramente venire a basso per una linea retta e perpendicolare, assolutamente si muova in quel modo, ma voglion che 'l moto suo sia per un arco, ed anco molto e molto inclinato e trasversale. Ma lasciamogli in quest'angustia, e sentiamo l'altre opposizioni che l'autore che aviamo a mano fa contro al Copernico.

SIMP. Continua pur l'autore di mostrare come in dottrina del Copernico bisogna negare i sensi, e le sensazioni massime, qual sarebbe se noi, che sentiamo il ventilar d'una leggierissima aura, non abbiamo poi a sentire l'impeto d'un vento perpetuo che ci ferisce con una velocità che scorre più di 2529 miglia per ora; ché tanto è lo spazio che il centro della Terra co 'l moto annuo trapassa in un'ora per la circonferenza dell'orbe magno, come egli diligentemente calcola, e perché, come ei dice pur di parer del Copernico, cum Terra movetur circumpositus aër; motus tamen eius, velocior licet ac rapidior celerrimo quocumque vento, a nobis non sentiretur, sed summa tum tranquillitas reputaretur, nisi alius motus accederet. Quid est vero decipi sensum, nisi hæc esset deceptio?

SALV. È forza che questo filosofo creda che quella Terra che il Copernico fa andare in giro, insieme con l'aria ambiente, per la circonferenza dell'orbe magno, non sia questa dove noi abitiamo, ma un'altra separata, perché questa nostra conduce seco noi ancora, con la medesima velocità sua e dell'aria circostante: e qual ferita possiam noi sentire, mentre fuggiamo con egual corso a quello di chi ci vuol giostrare? Questo signore s'è scordato che noi ancora siamo, non men che la Terra e l'aria, menati in volta, e che in conseguenza sempre siamo toccati dalla medesima parte d'aria, la quale però non ci ferisce.

SIMP. Anzi no: eccovi le parole che immediatamente seguono: Præterea nos quoque rotamur ex circumductione Terræ etc.

SALV. Ora non lo posso più né aiutare né scusare; scusatelo voi e aiutatelo, signor Simplicio.

SIMP. Per ora, così improvvisamente, non mi sovvien difesa di mia sodisfazione.

SALV. Ombé, ci penserete stanotte, e difenderetelo poi domani: intanto sentiamo l'altre opposizioni.

SIMP. Séguita pur l'istessa instanza, mostrando che in via del Copernico bisogna negar le sensazioni proprie. Imperocché questo principio, per il quale noi andiamo intorno con la Terra, o è nostro intrinseco, o ci è esterno, cioè un rapimento di essa Terra: e se questo secondo è, non sentendo noi cotal rapimento, convien dire che 'l senso del tatto non senta il proprio obietto congiunto, né la sua impressione nel sensorio; ma se il principio è intrinseco, noi non sentiremo un moto locale derivante da noi medesimi, e non ci accorgeremo mai di una propensione perpetuamente annessa con esso noi.

SALV. Talché l'instanza di questo filosofo batte qua, che, sia quel principio, per il quale noi ci moviamo con la Terra, o esterno o interno, dovremmo in ogni maniera sentirlo, e non lo sentendo, non è né l'uno né l'altro, e però noi non ci moviamo, né in conseguenza la Terra. Ed io dico che può essere nell'un modo e nell'altro, senza che noi lo sentiamo. E del poter esser esterno, l'esperienza della barca rimuove ogni difficultà soprabbondantemente: e dico soprabbondantemente, perché, potendo noi a tutte l'ore farla muovere ed anco farla star ferma, e con grand'accuratezza andare osservando se da qualche diversità, che dal senso del tatto possa esser compresa, noi possiamo imparare ad accorgerci se la si muova o no, vedendo che per ancora non si è acquistata tale scienza, a che maravigliarsi se l'istesso accidente ci resta incognito nella Terra, la quale ci può aver portati perpetuamente, senza potere mai sperimentar la sua quiete? Voi sete pur, signor Simplicio, per quel ch'io credo, andato mille volte nelle barche da Padova, e se voi volete confessar il vero, non avete mai sentita in voi la participazione di quel moto, se non quando la barca, arrenando o urtando in qualche ritegno, si è fermata, e che voi con gli altri passeggieri, colti all'improvviso, sete con pericolo traboccati. Bisognerebbe che il globo terrestre incontrasse qualche intoppo che l'arrestasse, che vi assicuro che allora vi accorgereste dell'impeto che in voi risiede, mentre da esso sareste scagliato verso le stelle. Ben è vero che con altro senso, ma accompagnato co 'l discorso, potete accorgervi del moto della barca, cioè con la vista, mentre riguardate gli alberi e le fabbriche poste nella campagna, le quali, essendo separate dalla barca, par che si muovano in contrario: ma se per una tale esperienza voleste restare appagato del moto terrestre, direi che riguardaste le stelle, che per ciò vi appariscono muoversi in contrario. Il maravigliarsi poi di non sentir cotal principio, posto che fusse nostro interno, è pensiero men ragionevole; perché se noi non sentiamo un simile che ci vien di fuori e che frequentemente si parte, per qual ragione dovremmo sentirlo quando immutabilmente risedesse di continuo in noi? Ora ècci altro in questo primo argomento?

SIMP. Ècci questa esclamazioncella: Ex hac itaque opinione necesse est diffidere nostris sensibus, ut penitus fallacibus vel stupidis in sensibilibus, etiam coniunctissimis, diiudicandis; quam ergo veritatem sperare possumus, a facultate adeo fallaci ortum trahentem?

SALV. Oh io ne vorrei dedur precetti più utili e più sicuri, imparando ad esser più circuspetto e men confidente circa quello che a prima giunta ci vien rappresentato da i sensi, che ci possono facilmente ingannare; e non vorrei che questo autore si affannasse tanto in volerci far comprender co 'l senso, questo moto de i gravi descendenti esser semplice retto e non di altra sorte, né si risentisse ed esclamasse perché una cosa tanto chiara manifesta e patente venga messa in difficultà; perché in questo modo dà indizio di credere che a quelli che dicon, tal moto non esser altrimenti retto, anzi più tosto circolare, paia di veder sensatamente quel sasso andar in arco, già che egli invita più il lor senso che il lor discorso a chiarirsi di tal effetto: il che non è vero signor Simplicio, perché, sì come io, che sono indifferente tra queste opinioni e solo a guisa di comico mi immaschero da Copernico in queste rappresentazioni nostre, non ho mai veduto, né mi è parso di veder, cader quel sasso altrimenti che a perpendicolo, così credo che a gli occhi di tutti gli altri si rappresenti l'istesso. Meglio è dunque che, deposta l'apparenza, nella quale tutti convenghiamo, facciamo forza co 'l discorso, o per confermar la realtà di quella, o per iscoprir la sua fallacia.

SAGR. Se io potessi una volta incontrarmi in questo filosofo, che pur mi pare che si elevi assai sopra molti altri seguaci dell'istesse dottrine, vorrei in segno di affetto ricordargli un accidente che assolutamente egli ha ben mille volte veduto, dal quale, con molta conformità di questo che trattiamo, si può comprendere quanto facilmente possa altri restar ingannato dalla semplice apparenza o vogliamo dire rappresentazione del senso. E l'accidente è il parere, a quelli che di notte camminano per una strada, d'esser seguitati dalla Luna con passo eguale al loro, mentre la veggono venir radendo le gronde de i tetti sopra le quali ella gli apparisce, in quella guisa appunto che farebbe una gatta che, realmente camminando sopra i tegoli, tenesse loro dietro: apparenza che, quando il discorso non s'interponesse pur troppo manifestamente ingannerebbe la vista.

SIMP. Veramente non mancano l'esperienze le quali ci rendono sicuri delle fallacie de i semplici sensi; però, sospendendo per ora cotali sensazioni, sentiamo gli argomenti che seguono, che son presi, come e' dice, ex rerum natura. Il primo de' quali è, che la Terra non può muoversi di sua natura di tre movimenti grandemente diversi, o vero bisognerebbe rifiutare molte dignità manifeste: la prima delle quali è, che ogni effetto depende da qualche causa, la seconda, che nessuna cosa produce se medesima, dal che ne segue che non è possibile che il movente e quello che è mosso siano totalmente l'istessa cosa: e questo non solo nelle cose che son mosse da motore estrinseco è manifesto, ma si raccoglie anco da i principii proposti l'istesso accadere nel moto naturale dependente da principio intrinseco; altrimenti, essendo che il movente, come movente, è causa, e 'l mosso, come mosso, è effetto, il medesimo totalmente sarebbe causa ed effetto; adunque un corpo non muove tutto sé, cioè che tutto muova e tutto sia mosso, ma bisogna nella cosa mossa distinguere in qualche modo il principio efficiente della mozione, e quello che di tal mozione si muove. La terza dignità è che, nelle cose suggette a i sensi, uno, in quanto uno, produce una cosa sola; cioè l'anima nell'animale produce ben diverse operazioni, cioè la vista, l'udito, l'odorato, la generazione, ma con istrumenti diversi: ed in somma si scorge, nelle cose sensibili le diverse operazioni derivar da diversità che sia nella causa. Ora, se si congiugneranno queste dignità, sarà cosa chiarissima che un corpo semplice, qual è la Terra, non si potrà di sua natura muover insieme di tre movimenti grandemente diversi. Imperocché, per le supposizioni fatte, tutta non muove sé tutta; bisogna dunque distinguere in lei tre principii di tre moti, altrimenti un principio medesimo produrrebbe più moti: ma contenendo in sé tre principii di moti naturali, oltre alla parte mossa, non sarà corpo semplice, ma composto di tre principii moventi e della parte mossa: se dunque la Terra è corpo semplice, non si moverà di tre moti. Anzi, pur non si moverà ella di alcuno di quelli che le attribuisce il Copernico, dovendosi muover d'un solo; essendo manifesto, per le ragioni di Aristotile, che ella si muove al suo centro, come mostrano le sue parti, che scendono ad angoli retti alla superficie sferica della Terra.

SALV. Molte cose sarebbon da dirsi e da considerarsi intorno alla testura di questo argomento; ma già che noi lo possiamo in brevi parole risolvere, non voglio per ora senza necessità diffondermi, e tanto più, quanto la risposta mi vien dal medesimo autore somministrata, mentre egli dice, nell'animale da un sol principio esser prodotte diverse operazioni: onde io per ora gli rispondo, con un simil modo da un sol principio derivare nella Terra diversi movimenti.

SIMP. A questa risposta non si quieterà punto l'autore dell'instanza, anzi vien pur ella totalmente atterrata da quello che ei soggiugne immediatamente per maggiore stabilimento dell'impugnazion fatta, sì come voi sentirete. Corrobora, dico, l'argomento con altra dignità, che è questa: che la natura non manca, né soprabbonda, nelle cose necessarie. Questo è manifesto a gli osservatori delle cose naturali e principalmente degli animali, ne' quali, perché dovevano muoversi di molti movimenti, la natura ha fatte loro molte flessure, e quivi acconciamente ha legate le parti per il moto, come alle ginocchia, a i fianchi, per il camminar de gli animali e per coricarsi a lor piacimento; in oltre nell'uomo ha fabbricate molte flessioni e snodature al gomito ed alla mano, per poter esercitar molti moti. Da queste cose si cava l'argomento contro al triplicato movimento della Terra: o vero il corpo uno e continuo, senza essere snodato da flessura nessuna, può esercitar diversi movimenti, o vero non può senza aver le flessure, se può senza, adunque indarno ha la natura fabbricate le flessure negli animali, che è contro alla dignità; ma se non può senza, adunque la Terra, corpo uno e continuo e privo di flessure e di snodamenti, non può di sua natura muoversi di più moti. Or vedete quanto argutamente va a incontrar la vostra risposta, che par quasi che l'avesse prevista.

SALV. Dite voi su 'l saldo, o pur parlate ironicamente?

SIMP. Io dico dal miglior senno ch' i' m'abbia.

SALV. Bisogna dunque che voi vi sentiate d'aver tanto buono in mano, da poter anco sostener la difesa di questo filosofo contro qualche altra replica che gli fusse fatta in contrario: però rispondetemi, vi prego, in sua grazia, già che non possiamo averlo presente. Voi primieramente ammettete per vero che la natura abbia fatti gli articoli, le flessure e snodature a gli animali, acciocché si possano muover di molti e diversi movimenti; ed io vi nego questa proposizione, e dico che le flessioni son fatte acciocché l'animale possa muovere una o più delle sue parti, restando immobile il resto, e dico che quanto alle spezie e differenze de' movimenti, quelli sono di una sola, cioè tutti circolari: e per questo voi vedete, tutti i capi de gli ossi mobili esser colmi o cavi; e di questi, altri sono sferici, che son quelli che hanno a muoversi per tutti i versi, come fa nella snodatura della spalla il braccio dell'alfiere nel maneggiar l'insegna, e dello strozziere nel richiamar co 'l logoro il falcone, e tal è la flessura del gomito, sopra la quale si gira la mano nel forar col succhiello; altri son circolari per un sol verso e quasi cilindrici, che servono per le membra che si piegano in un sol modo, come le parti delle dita l'una sopra l'altra, etc. Ma senza più particolari incontri, un solo general discorso ne può far conoscer questa verità; e questo è, che di un corpo solido che si muova restando uno de' suoi estremi senza mutar luogo, il moto non può esser se non circolare: e perché nel muover l'animale uno delle sue membra non lo separa dall'altro suo conterminale, adunque tal moto è circolare di necessità.


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