Associazione Astrofili Trentini
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Un freddo timore calò sugli uomini


Non c'è nulla d'incredibile, nulla d'innegabile,
nulla di assurdo, poiché Zeus padre degli Olimpii
fece notte a mezzogiorno, e del sole splendente
smorzò ogni luce. Un freddo timore calò sugli uomini.

[Archiloco, fr. 122 West, 1-4]

Così, verso la metà del VII secolo avanti Cristo, il poeta greco Archiloco descriveva con pochi ma efficaci versi un fenomeno straordinario e impressionante: l'improvviso venir meno in pieno giorno della luce e del calore del Sole. Quella di Archiloco è una tra le tante testimonianze che l'antichità ci offre del verificarsi di un evento astronomico così notevole come l'eclisse dell'astro diurno. Per esempio, anche Erodoto, il grande storico del V secolo avanti Cristo, ci narra un avvenimento a dir poco originale: "...scoppiò una guerra fra i Lidi e i Medi che durò per cinque anni... Mentre essi con pari fortuna proseguivano la guerra, nel sesto anno si scontrarono e, nel corso della battaglia, il giorno all'improvviso diventò notte... I Lidi e i Medi cessarono allora il combattimento e s'adoprarono entrambi affinché si facesse fra loro la pace" [Erodoto, Storie, I, 74]. A proposito di questa eclisse, al di là della sua natura "pacificatrice", lo storico di Alicarnasso aggiunge una notazione davvero interessante: "Talete di Mileto aveva predetto questo fenomeno, indicando quello stesso anno in cui effettivamente avvenne". Quello che Erodoto non spiega è come abbia fatto Talete a predire l'eclisse con tanta esattezza.

Per calcolare in anticipo il verificarsi di un'eclisse, occorre conoscere due cicli. Il primo di essi, la durata del mese lunare, è molto facile da determinare, giacché è sufficiente individuare il lasso di tempo che trascorre tra un plenilunio e l'altro. Il secondo ciclo, invece, è molto più arduo da scoprire: si tratta della rotazione nello spazio di due punti invisibili; questi punti, chiamati nodi, sono individuati dall'intersezione dell'orbita lunare con il piano dell'orbita terrestre. Un'eclisse di Sole può avere luogo soltanto quando la Luna è nuova e si trova in uno dei due nodi. I primi a conoscere questo meccanismo furono i Babilonesi. Si tratta del cosiddetto "ciclo Saros": durante 223 lunazioni, pari a poco più di 18 anni e 10 giorni, si verificano in media 43 eclissi di Sole (di cui 16 anulari) e 28 eclissi lunari; e poiché al termine di questo periodo le posizioni reciproche del Sole, della Luna e dei nodi si ripresentano quasi in maniera identica, ne consegue che le eclissi verificatesi precedentemente si ripetono con la medesima successione e il medesimo ritmo.

Con ogni probabilità Talete di Mileto, matematico e astronomo, conosceva il ciclo Saros: tuttavia tale conoscenza è necessaria ma non sufficiente per fondare la previsione di un'eclisse. Il ciclo Saros, infatti, permette di calcolare quando si verificherà un'eclisse, ma di per sé non è in grado di stabilire da quale punto della Terra sarà visibile. Per prevedere con esattezza un'eclisse, dunque, sono necessarie ulteriori nozioni geodetiche e matematiche, che all'epoca di Talete non erano ancora disponibili. Volendo attribuire un qualche credito all'affermazione di Erodoto, quindi, è possibile che Talete abbia effettivamente predetto il verificarsi di un'eclisse: il fatto però che questa sia avvenuta proprio nei cieli dell'Asia Minore è stato un grosso colpo di fortuna per il matematico di Mileto.

Varie sono le ipotesi accreditate nell'antichità classica a proposito delle cause delle eclissi: la loro formulazione è da attribuire ad un gran numero di filosofi e pensatori degli ultimi secoli prima di Cristo, in particolare dell'area culturale della Grecia e dell'Asia Minore. Una sintesi tanto rapida quanto completa di tali ipotesi ci viene offerta da alcuni versi del poeta latino Lucrezio:

Le eclissi del sole e le scomparse della luna,
devi ritenere che possono prodursi per diverse cause.
La luna potrebbe sottrarre alla terra
la luce del sole, e opporle alto il suo capo,
schermando con il suo corpo i raggi luminosi;
così, allo stesso modo, un altro oggetto opaco
che vaga nello spazio potrebbe fare altrettanto.
E anche il sole potrebbe languire e perdere i suoi fuochi,
per poi tornare a produrre la luce,
dopo aver attraversato spazi ostili alle sue fiamme,
i quali fanno sì che i fuochi si estinguano.

[Lucrezio, De rerum natura, V, 751-761]

Sono qui compendiate le tre principali teorie sull'origine delle eclissi solari. La prima propone come causa di un'eclisse l'interposizione della Luna fra la Terra e il Sole; la seconda fa ricorso ad un corpo opaco vagante nello spazio, in grado di intercettare i raggi luminosi; l'ultima, invece, ipotizza delle regioni di spazio ostili alla combustione e quindi capaci di "spegnere" temporaneamente la fornace solare.

Un'eclisse di Sole, però, oltre a suscitare interesse in coloro che si dedicavano allo studio degli astri e della natura, non poteva non produrre una notevole impressione in tutti coloro che la osservavano. Già si sono visti, a questo proposito, gli eloquenti versi di Archiloco. Al riguardo, in effetti, occorre riconoscere, insieme a Giacomo Leopardi, che il subitaneo mancare della luce del Sole, in pieno giorno e senza alcuna causa apparente, è un evento che suscita timore, prima ancora di qualsiasi altra emozione. Scrive infatti il poeta di Recanati: "Era ben naturale che gli antichi tremassero all'improvviso oscurarsi del sole e della luna, e al coprirsi la natura di tenebre tutto ad un tratto. Questo fenomeno è terribile per sé medesimo. Quando il sole è oscurato da una nuvola, si vede il corpo che ce ne toglie la luce. Ma quando esso si ecclissa, niun corpo si vede che se gli sovrapponga: il solo suo disco rimane offuscato, e sembra annerire a poco a poco a guisa di un carbone che va a spegnersi. Questa idea si presenta naturalmente a un intelletto non istruito, all'accadere di una ecclissi. Gli antichi temerono infatti che il sole e la luna si spegnessero al loro eclissarsi, o corressero almeno pericolo di estinguersi, e questo timore non poteva esser tolto che dalla scienza" [G. Leopardi, Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, XI]. Una volta che la scienza fu riuscita a spiegare il meccanismo delle eclissi, dimostrando che Sole e Luna non corrono alcun pericolo di estinguersi, si cessò finalmente di temere per la loro sopravvivenza. La cosa curiosa, nota di seguito Leopardi, è che si continuò a "tremare per la terra", cioè si considerarono le eclissi come segni forieri di eventi infausti e catastrofici. Basti pensare, ad esempio, alla correlazione stabilita da Tucidide: "Al principio dell'estate seguente, avvenne un'eclisse di sole intorno al novilunio: nello stesso mese si verificò un grande terremoto" [Tucidide, Guerra del Peloponneso, IV, 52]. Ma anche nella Bibbia si trova l'idea dell'eclisse di Sole come indizio precursore di cataclismi e flagelli, segno manifesto della collera divina. Scrive il profeta Amos: "In quel giorno - dice l'oracolo del Signore - farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno! Cambierò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamento: farò vestire ad ogni fianco il sacco, renderò calva ogni testa" [Am VIII, 9-10]. Le stesse immagini e l'associazione tra l'eclisse di Sole e altri eventi funesti si ritrovano, del resto, anche nelle più celebri pagine dell'Apocalisse di Giovanni: "Quando l'Agnello ruppe il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto: il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra" [Ap VI, 12-13].

Anche in tutta l'età medievale e fino alle soglie dell'età moderna rimase dominante l'idea che le eclissi di Sole preannunciassero sventure. È famoso l'aneddoto - sulla cui verità peraltro non è dato pronunciarsi - secondo il quale Ludovico di Baviera, figlio di Carlo Magno, sarebbe morto di paura durante i minuti di totalità dell'eclisse verificatasi nell'anno 840. Fu soltanto a partire dal XVII secolo che si cominciò a studiare le eclissi da un punto di vista scientifico. Tra gli astronomi di quel periodo va menzionato Johannes Kepler, che fu il primo a descrivere l'apparizione della corona solare, in occasione dell'eclisse del 12 ottobre 1605. Tuttavia, studi approfonditi sulle eclissi, e di conseguenza sulla natura del Sole, furono intrapresi solo a partire dal Settecento. Osservando l'eclissi del 3 maggio 1715, l'astronomo reale inglese Edmund Halley vide la corona solare e alcune protuberanze molto luminose: egli notò inoltre che verso la parte occidentale la corona e le protuberanze erano più luminose di quanto fossero nella zona orientale. Per spiegare questo fenomeno, Halley fece ricorso alla teoria secondo la quale la Luna è avvolta da una tenue atmosfera. Per parecchio tempo, l'anello luminoso che appariva durante la totalità fu utilizzato come solido argomento a sostegno della tesi che attribuiva una qualche atmosfera alla Luna.

In occasione dell'eclisse del 27 ottobre 1780, durante la guerra d'indipendenza americana, Samuel Williams, professore di scienze naturali ad Harvard, pensò bene di organizzare una spedizione scientifica al fine di osservare l'evento astronomico: purtroppo il sito prescelto si trovava in territorio nemico. Williams non si perse d'animo e chiese a John Hancock, portavoce della Camera dei Rappresentanti, di negoziare una tregua speciale con gli Inglesi. Hancock accolse la richiesta e inviò al comandante inglese una missiva ufficiale, nella quale, chiamandolo "Amico della Scienza", metteva in luce come il progresso scientifico fosse un punto sul quale due popoli civili, seppure in guerra, dovevano trovarsi concordi. Gli Inglesi concessero uno speciale lasciapassare ai membri della spedizione di Harvard. Sfortunatamente, malgrado tutti questi sforzi, Williams non poté vedere il completo eclissarsi del Sole, giacché aveva sbagliato i conti e aveva scelto un posto al di fuori della totalità...

A partire dalla metà dell'Ottocento, l'osservazione delle eclissi portò rapidamente ad una serie di importanti scoperte. Nel 1851 fu realizzato il primo dagherrotipo della corona solare. Nove anni più tardi, in occasione dell'eclisse del 18 luglio 1860, visibile dalla penisola iberica, Angelo Secchi e Warren de la Rue realizzarono delle fotografie della corona a 375 chilometri di distanza l'uno dall'altro. Grazie alla comparazione di tali fotografie, fu possibile dimostrare che le protuberanze sono reali e non semplici effetti ottici, e che la corona non è altro che una parte dell'atmosfera solare. Durante un'eclisse del 1868, osservando lo spettro di una protuberanza, l'astronomo francese Pierre Janssen scoprì le righe di un elemento fino ad allora sconosciuto: ripetendo l'osservazione il giorno seguente, puntando il suo spettroscopio sul bordo del Sole non più eclissato, vide con sorpresa che le righe del nuovo elemento c'erano ancora tutte. Due astronomi inglesi, Lockyer e Frankland, proposero che il nuovo elemento si chiamasse "elio", che in greco significa appunto "sole": e così fu.

Si potrebbe pensare che dopo quattro secoli di studi scientifici, alle soglie del terzo millennio, le eclissi di Sole siano unanimemente considerate come dei fenomeni naturali del tutto innocui e che la lunga tradizione che leggeva nell'oscuramento del Sole un presagio di sventura appartenga ormai definitivamente alla storia. Purtroppo, ad onta dell'umana intelligenza, non è così: frotte di astrologi e affini si dilettano a trovare le più assurde connessioni, "non arrossendo di pubblicare colle stampe cose affatto chimeriche e pazze, colla sola mira di gabbare il volgo e di trarne danaio" (così almeno dice Leopardi nel suo già citato Saggio sopra gli errori popolari degli antichi). L'eclisse di Sole è sì un fenomeno straordinario, ma non certo per il suo carattere imprevedibile e tremendo - che da tempo la scienza ha eliminato -, bensì soltanto per la sua grande carica di fascino e suggestività: un'eclisse di Sole, dunque, non è più un evento da temere, ma uno spettacolo da non perdere.


Marco Murara (e-mail)
agosto 1999


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