Associazione Astrofili Trentini
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Breve storia delle comete


Per gli astronomi dell'antichità le comete rappresentarono un vero e proprio enigma: apparivano e scomparivano improvvisamente, non si muovevano, come le altre "stelle erranti", lungo la fascia zodiacale, ed erano seguite da una coda luminosa e di dimensioni variabili. Per di più, non si sapeva nemmeno se fossero oggetti astronomici o semplici fenomeni atmosferici.

I più antichi cultori di astronomia che si conoscano sono i Caldei, un popolo di stirpe semitica insediatosi nella Mesopotamia centrale. Molto probabilmente essi spiegavano le comete in modi differenti: un frammento del VII-III secolo a.C. parla delle comete assieme alle stelle, ossia trattandole come corpi celesti. Così afferma anche Apollonio di Mindo, citato da Seneca nelle Naturales quaestiones come uno studioso formatosi presso i Caldei, ma Epigene, ricordato negli stessi termini sempre da Seneca, sostiene al contrario che sono fuochi accesi da turbini di aria: "Costui [Apollonio] afferma che le comete sono poste dai Caldei nel numero delle stelle erranti e che quindi seguono il corso di queste ultime. Al contrario Epigene sostiene che i Caldei non sanno nulla di comete, ma che queste sembrano venir accese da un qualche mulinello di aria turbolenta e vorticosa." (Nat. quaest., VII, 4, 1).

Anche i Greci appuntarono la loro attenzione su quegli strani corpi che erano le comete. Anassagora e Democrito dissero che esse si formano quando due pianeti si trovano accostati, mentre i Pitagorici sostennero che fossero dei pianeti veri e propri, con la coda causata da qualche fenomeno ottico. Entrambe queste ipotesi, accomunate dal fatto che le comete venivano poste nel mondo celeste, furono prese in esame e confutate da Aristotele. Nel sistema cosmologico dello Stagirita, caratterizzato dalla Terra fissa al centro dell'Universo, esistono due mondi, separati nettamente dalla sfera della Luna: il mondo sublunare, o terrestre, è contraddistinto dalla presenza dei quattro elementi fondamentali - terra, acqua, aria e fuoco -, che si muovono di moto rettilineo, finito e imperfetto; il mondo translunare, o celeste, è invece costituito di etere, la quinta essenza immutabile e incorruttibile, e il suo moto tipico è quello circolare, infinito e perfetto. In questo sistema le comete, bizzarre e imprevedibili, non potevano certo trovare posto nel mondo celeste: quindi Aristotele le pose in quello terrestre, considerandole come esito delle turbolenze atmosferiche e collegandole di conseguenza ad altri eventi meteorologici.

Tale relazione istituita fra comete e fenomeni atmosferici assunse un'importanza via via sempre più notevole: e poiché si riteneva che le condizioni meteorologiche influissero direttamente sulla salute degli uomini, sulla fertilità dei campi e addirittura sulle cause dei movimenti tellurici, ben presto le apparizioni delle comete furono associate ad eventi catastrofici, quali le epidemie, le carestie e i terremoti. A prova di tutto ciò si adduceva quanto era successo nel 373 a.C., quando una forte scossa sismica distrusse le città di Beris e di Elice, nel golfo di Corinto: nei giorni della catastrofe splendeva in cielo una grande cometa. Sebbene la teoria aristotelica non istituisse fra cometa e terremoto alcuna relazione di causa ed effetto, bensì una semplice seppur non casuale concomitanza, la comparsa nei cieli di un oggetto insolito, molto luminoso e munito di coda, venne interpretata come foriera di sventure e calamità.


Nell'epoca medioevale si accentuò la tendenza a considerare le comete come segni infausti, portatori di sciagure: in questo periodo si mescolarono astrologia e superstizione, che attraverso la fantasia e la paura ingigantirono quello che l'occhio aveva visto o aveva creduto di vedere. Testimonianze significative in proposito sono, ad esempio, alcune notazioni tratte dall'Almanacco Perpetuo Benincasa del 1668, che riporta cronache risalenti ai secoli intorno all'anno 1000:

anno 728
In Costantinopoli fu gran pestilenza, che tolse la vita a più di trecentomila persone, e si veddero due gran Comete che l'una andava la mattina avanti il Sole, e l'altra lo seguiva la sera, e in Brescia nacque un fanciullo con due denti.
anno 984
In Italia fu una gran cometa, e la fame, e peste l'oppressò; e vi levò molta gente; in Fiandra si vide un gran serpente volar per l'aria, e in Genova un cavallo parlò, in Pisa veduti huomini con effigie di cane.

Una cometa 'vista' nel Medioevo


Tuttavia nel XV secolo vi furono due importanti astronomi che cominciarono a considerare le comete come dei corpi celesti, fornendo preziose osservazioni il cui valore venne compreso solo nei secoli successivi. La prima figura è quella dello scienziato fiorentino Paolo Toscanelli dal Pozzo (1397-1482), del quale ci sono pervenute le meticolose rilevazioni della posizione di alcune comete sulla mappa celeste. Egli fu il primo a focalizzare l'attenzione sulla testa della cometa, limitandosi a tracciare schematicamente la coda, che tanto aveva colpito l'immaginazione di studiosi precedenti. In tal modo, dunque, passavano in secondo piano quelle turbolenze atmosferiche che, entrando in contatto con gli elementi ignei degli strati superiori, dovevano creare le luminescenze delle code cometarie; e di contro veniva posto l'accento sul punto più brillante, la testa, che grazie alla sua somiglianza con stelle e pianeti avvicinava la cometa al mondo translunare. Il secondo, fondamentale contributo è quello dell'astronomo e matematico tedesco Johann Müller, detto Regiomontano (1436-1476). Egli propose di applicare il metodo della parallasse per determinare la distanza delle comete dalla Terra: purtroppo non fu in grado di dimostrare in modo inequivocabile che una cometa del 1472 era tanto lontana da non far parte dell'atmosfera terrestre. In sostanza, anche se le osservazioni di Toscanelli e Regiomontano rimasero nell'immediato inascoltate, esse avevano creato i presupposti per scardinare l'impostazione aristotelica.

Ma i tempi non erano ancora maturi. Nel XVI secolo, infatti, le superstizioni medioevali erano sempre vive, e per di più venivano alimentate da credenze di stampo mistico-religioso: per fare qualche esempio, Martin Lutero e Paracelso ritenevano che le comete fossero messaggeri di Dio, ed in particolare della Sua collera, mentre Jean Bodin le considerava anime di sovrani che ascendevano al cielo, lasciando i loro popoli in balìa di guerre e carestie. Ma la descrizione forse più sbalorditiva è quella fornita dal chirurgo francese Ambroise Paré nel suo trattato De monstres et prodiges (1571):

"Questa cometa era così orribile e spaventosa e generava un così gran terrore nel volgo, che alcuni morirono di paura; altri caddero ammalati. Appariva essere di lunghezza eccessiva, ed era color sangue; alla sua sommità si vedeva la figura di un braccio curvo, che teneva in mano una grande spada, come se avesse voluto colpire. In cima alla punta c'erano tre stelle. Ai due lati dei raggi di questa cometa si vedeva un gran numero di mannaie, coltelli, spade macchiate di sangue tra le quali c'era un gran numero di facce umane orribili, con le barbe e i capelli irti".

La cometa di Ambroise Paré


Ma nel 1500 si ebbero tre importanti scoperte, connesse più o meno direttamente con la questione delle comete e destinate a contribuire a quel rovesciamento del sistema geocentrico che è passato alla storia con il nome di "rivoluzione copernicana". La prima scoperta fu compiuta indipendentemente dallo scienziato veronese Girolamo Fracastoro (1483-1553) e dal matematico tedesco Petrus Apianus (1495-1552): essi notarono che la coda delle comete era sempre rivolta in direzione opposta al Sole; la qual cosa contraddiceva il modello aristotelico, visto che un elemento del mondo sublunare, la cometa, era influenzata direttamente da un elemento del mondo translunare, il Sole. Tuttavia l'osservazione passò in sordina, dal momento che si conoscevano altri fenomeni atmosferici dipendenti dal Sole, come ad esempio l'arcobaleno. La seconda scoperta venne fatta da Tycho Brahe (1546-1601), il quale la sera dell'11 novembre 1572 notò una stella brillantissima nella costellazione di Cassiopea, in un punto in cui le mappe stellari non riportavano alcun oggetto. Escluso che si trattasse di un pianeta poiché Cassiopea non appartiene alla fascia zodiacale, occorreva ammettere che nell'etereo mondo celeste potevano esistere corpi corruttibili e caduchi; ciò era in netto contrasto con la teoria di Aristotele, per salvare la quale i suoi sostenitori giunsero ad affermare che l'insolito punto luminoso fosse una cometa con la coda opposta alla Terra, sebbene questo fosse in disaccordo con gli assunti di Fracastoro e Apianus. La terza, decisiva scoperta fu compiuta ancora da Tycho Brahe, che osservando una cometa del 1578 applicò il metodo della parallasse, come suggerito da Regiomontano, al fine di calcolare la distanza. Questa volta il tentativo andò in porto e Brahe trovò una parallasse così piccola che la cometa doveva essere almeno sei volte più distante della Luna. Finalmente era stato provato che le comete dovevano essere considerate corpi celesti a tutti gli effetti, e quindi essere studiate come tali.

Appurato che le comete appartengono al mondo translunare, gli sforzi degli astronomi furono volti alla ricerca di dati per spiegare meglio la natura e il comportamento di questi imprevedibili corpi celesti. Per inciso, occorre ricordare che il XVII secolo è contraddistinto dalla cosiddetta "rivoluzione copernicana", i cui massimi artefici, oltre a Copernico, furono Keplero, Galileo e Newton: tale rivoluzione fu "una trasformazione dell'astronomia matematica, ma comportò mutamenti concettuali nel campo della cosmologia, della fisica, della filosofia ed anche della religione" (T.S. Kuhn, La rivoluzione copernicana, Torino 1972, p. XV); perciò non bisogna dimenticare che lo studio delle comete è un particolare aspetto che si inserisce in quell'amplissimo contesto scientifico e culturale che determinò il passaggio da un sistema geocentrico ad uno eliocentrico.

Johannes Kepler (1571-1630), celebre per aver enunciato le tre leggi che regolano i moti planetari, affermò che le comete sono numerosissime ma non eterne e che la coda si forma a causa dell'azione dei raggi solari. Per quanto riguarda l'orbita, per via delle accelerazioni e dei rallentamenti che il movimento apparente subiva, egli ipotizzò che le comete si muovessero di moto rettilineo. Johannes Hevelius (1611-1687), dopo essersi accertato personalmente che le comete non potevano essere fenomeni meteorologici, giunse a teorizzare che esse percorressero traiettorie paraboliche centrate sul Sole

Con Isaac Newton (1642-1727) si può davvero parlare di visione moderna, svincolata completamente da pregiudizi e convincimenti antichi. Egli determinò che le comete orbitano lungo sezioni coniche - ellissi, parabole, iperboli - di cui uno dei due fuochi, per le ellissi e le iperboli, o l'unico fuoco, per le parabole, è centrato sul Sole; la loro velocità può essere determinata in base alla seconda legge di Keplero, proprio come qualsiasi altro corpo orbitante intorno ad un centro di gravità. Riguardo alla natura fisica delle comete, Newton affermò che, come i pianeti, risplendono di luce riflessa e sono costituite da un corpo solido attorno a cui è avvolta una densa atmosfera, parte della quale viene spazzata via dai raggi solari.


Ma il contributo più importante alla conoscenza delle comete venne apportato dall'Astronomo Reale inglese Edmund Halley (1656-1742). Prendendo in esame le considerazioni di Newton, egli sospettò che la cometa osservata nel 1682 fosse già apparsa in precedenza.: quindi concluse che essa sarebbe ritornata alla fine del 1758 o al principio del 1759. Molti furono gli scettici e gli indifferenti nei confronti di tale previsione: per convincerli essa avrebbe dovuto verificarsi con una notevole precisione, poiché un errore di soli due anni sarebbe stato sufficiente a far ritenere che, casualmente, fosse apparsa un'altra cometa. Halley morì nel 1742, ma quanto aveva scritto e calcolato non andò certo dimenticato: già nel 1757 il mondo astronomico era in fermento, diviso in detrattori e sostenitori. Tra questi ultimi vanno ricordati Joseph Jérôme Le Français de Lalande (1732-1807) e Alexis Clairaut (1713-1765), che spesero mesi a calcolare gli eventuali ritardi della cometa, dovuti alle perturbazioni gravitazionali di Giove e Saturno, che secondo la teoria newtoniana avrebbero sicuramente influito sull'orbita di qualsiasi massa che passasse loro vicino. Il 1758 stava per scadere e il numero degli increduli era in continuo aumento: ma la notte di Natale un pallido punto nebuloso emerse dall'oscurità dei cieli. L'astro passò al perielio il 13 marzo 1759 e in aprile raggiunse la prima magnitudine, sfoggiando una coda che nel suo massimo sviluppo toccò i 50° di estensione; infine, ai primi di giugno, scomparve. Gli elementi orbitali calcolati in base alle osservazioni collimavano perfettamente con quelli trovati da Halley: la sua cometa era davvero ritornata.

La scoperta di Halley ebbe molteplici effetti. Innanzitutto veniva dato un importante sostegno al modello cosmologico copernicano, e inoltre, considerata la correttezza dei calcoli di Lalande e Clairaut, si affermava la validità della legge della gravitazione universale di Newton. In secondo luogo, si riusciva a smentire in maniera netta e definitiva tutte le credenze e le superstizioni di stampo mistico-astrologico, che perdevano così ogni loro fondamento.


Marco Murara (e-mail)
marzo 1997


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