Conversazioni sulla pluralità dei mondi

di
Bernard de Fontenelle
- 1686 -


Come la Terra sia un pianeta che gira su se stesso e intorno al Sole

Una sera, dopo cena, andammo a passeggiare nel parco. Un fresco delizioso ci ricompensava della giornata caldissima che avevamo sopportato. La Luna era sorta forse da appena un’ora, e i suoi raggi, che ci venivano fra i rami degli alberi, mischiavano gradevolmente il loro bianco vivo con tutto quel verde che sembrava nero. Non una nuvola che potesse nascondere od oscurare la minima stella; erano tutte di un oro puro e splendente, cui dava rilievo il fondo blu al quale erano appese. Quello spettacolo mi fece sognare e forse senza la marchesa avrei sognato a lungo; ma la presenza di una così amabile signora non mi permise di abbandonarmi alla Luna e alle stelle.

"Non trovate", le dissi "che neppure il giorno è così bello come una bella notte?"

"Sì", mi rispose, "la bellezza del giorno è come una bellezza bionda, che è più brillante, ma la bellezza della notte è una bellezza bruna, più commovente".

"Siete molto generosa a dare questo vantaggio alle brune, voi che non lo siete. Tuttavia è vero che il giorno è ciò che vi è di più bello nella natura, e che le eroine dei romanzi, che sono quello che vi è di più bello nell’immaginazione, sono quasi sempre bionde".

"La bellezza non è niente" ella replicò, "se non colpisce. Confessate che il giorno non vi avrebbe mai immerso nel dolce sogno nel quale vi ho visto sul punto di scivolare poco fa, alla vista di questa bella notte".

"Ne convengo", risposi, "ma una bionda come voi mi farebbe sognare ancora meglio della più bella notte del mondo, con tutta la sua bellezza bruna".

"Anche se questo fosse vero" replicò lei, "non me ne contenterei. Vorrei che anche il giorno, poiché le bionde ne condividono gli interessi, facesse lo stesso effetto. Perché gli amanti, che sanno giudicare quello che è commovente, si rivolgono sempre solo alla notte, in tutte le canzoni e in tutte le elegie che conosco?"

"Ma è giusto che la notte abbia i loro ringraziamenti", dissi io.

"Ma ha pure tutti i loro lamenti", riprese lei. "Il giorno non attira le loro confidenze; da che cosa dipende?"

"È perché, apparentemente", risposi, "non ispira nulla di triste e di appassionato. Durante la notte sembra che tutto sia a riposo. Si pensa che le stelle si muovano più silenziosamente del Sole, che gli oggetti che il cielo mostra siano più dolci, che la vista vi si possa soffermare più comodamente; infine si sogna meglio, perché si presume di essere la sola persona, in tutta la natura, intenta a sognare. Forse lo spettacolo che offre il giorno è troppo uniforme, in fondo non ci sono che un Sole e una volta azzurra, ma può darsi che la vista di tutte queste stelle confusamente disseminate e disposte a caso in mille figure diverse, favorisca il fantasticare, e un certo disordine di pensieri nel quale si cade volentieri".

"Io ho sempre provato quello che mi state dicendo", riprese lei, "amo le stelle e quasi quasi rimprovero al Sole di nasconderle alla nostra vista".

"Ah!" esclamai, "io non posso perdonargli di farmi perdere di vista tutti quei mondi".

"Che cosa chiamate tutti quei mondi?" disse lei voltandosi verso me.

"Vi chiedo scusa", risposi. "Avete provocato la mia follia e subito la mia immaginazione ha preso il volo".

"Qual è questa vostra follia?" domandò lei.

"Ahimè!" replicai, "mi dispiace molto di dovervelo confessare, ma mi sono messo in testa che ogni stella potrebbe benissimo essere un mondo. Non potrei tuttavia giurare che questo sia vero, ma io lo considero vero, perché mi fa piacere crederlo. E’ un’idea che mi piace e che si è collocata nel mio spirito in un modo gradevole. Secondo me, un certo diletto è necessario non solo alle verità".

"Ebbene", riprese lei, "poiché la vostra follia è così piacevole, trasmettetela anche a me; sono disposta a credere tutto ciò che vorrete sulle stelle, purché ne tragga del diletto".

"Ah! Signora", risposi subito, "non si tratta di un diletto simile a quello che avreste assistendo a una commedia di Molière; è un piacere che si trova in non so quale angolo della ragione, e che fa ridere solo lo spirito".

"Come", riprese lei, "credete allora che io sia incapace di provare dei piaceri che si trovano esclusivamente nella ragione? Vi proverò il contrario, parlatemi delle vostre stelle".

"No", replicai, "non voglio che mi si rimproveri di aver parlato di filosofia in un bosco, alle dieci di sera, alla più amabile persona che io conosca. Dovrete cercare altrove i vostri filosofi".


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