Giornata Prima (segue dalla pagina precedente)

SALV. Oh come questo è, la sua, che io stimava inavvertenza, diventa bugia; la quale pizzica anco di temerità, poiché ciascheduno ne può far frequentemente la riprova. Che poi nell'eclisse del Sole si vegga il disco della Luna in altro modo che per privazione, io ne dubito assai, e massime quando l'eclisse non sia totale, come necessariamente bisogna che siano state le osservate dall'autore; ma quando anco e' si scorgesse come lucido, questo non contraria, anzi favorisce l'opinion nostra, avvengaché allora si oppone alla Luna tutto l'emisferio terrestre illuminato dal Sole, ché se bene l'ombra della Luna ne oscura una parte, questa è pochissima in comparazione di quella che rimane illuminata. Quello che aggiugne di più, che in questo caso la parte del margine che soggiace al Sole si mostri assai lucida, ma non così quella che resta fuori, e ciò derivare dal venirci direttamente per quella parte i raggi solari all'occhio, ma non per questa, è bene una di quelle favole che manifestano le altre finzioni di colui che le racconta, perché, se per farci visibile di luce secondaria il disco lunare bisogna che i raggi del Sole vengano direttamente al nostro occhio, non vede il poverino che noi mai non vedremmo tal luce secondaria se non nell'eclisse del Sole? E se l'esser una parte della Luna remota dal disco solare solamente manco assai di mezo grado può deviare i raggi del Sole, sì che non arrivino al nostro occhio, che sarà quando ella se ne trovi lontana venti e trenta quale ella ne è nella sua prima apparizione? e come verranno i raggi del Sole, che hanno a trapassar per il corpo della Luna, a trovar l'occhio nostro? Quest'uomo si va di mano in mano figurando le cose quali bisognerebbe ch'elle fussero per servire al suo proposito, e non va accomodando i suoi propositi di mano in mano alle cose quali elle sono. Ecco: per far che lo splendor del Sole possa penetrar la sustanza della Luna, ei la fa in parte diafana, quale è, verbigrazia, la trasparenza di una nugola o di un cristallo; ma non so poi quello ch'ei si giudicasse, circa una tal trasparenza, quando i raggi solari avessero a penetrare una profondità di nugola di più di dua mila miglia. Ma ammettasi che egli arditamente rispondesse, ciò potere esser benissimo ne i corpi celesti, che sono altre faccende che questi nostri elementari, impuri e fecciosi, e convinchiamo l'error suo con mezi che non ammettono risposta, o per dir meglio, sutterfugii. Quando ei voglia mantenere che la sustanza della Luna sia diafana, bisogna ch'ei dica che ella è tale mentreché i raggi del Sole abbiano a penetrar tutta la sua profondità, cioè ne abbiano a penetrar più di dua mila miglia, ma che opponendosigliene solo un miglio ed anco meno, non la penetreranno più che e' si penetrino una delle nostre montagne.

SAGR. Voi mi fate sovvenire di uno che mi voleva vendere un segreto di poter parlare, per via di certa simpatia di aghi calamitati, a uno che fusse stato lontano due o tre mila miglia; e dicendogli io che volentieri l'avrei comprato, ma che volevo vederne l'esperienza, e che mi bastava farla stando io in una delle mie camere ed egli in un'altra, mi rispose che in sì piccola distanza non si poteva veder ben l'operazione: onde io lo licenziai, con dire che non mi sentivo per allora di andare nel Cairo o in Moscovia per veder tale esperienza; ma se pure voleva andare esso, che io arei fatto l'altra parte, restando in Venezia. Ma sentiamo come va la conseguenza dell'autore, e come bisogni ch'egli ammetta, la materia della Luna esser permeabilissima da i raggi solari nella profondità di dua mila miglia, ma opacissima più di una montagna delle nostre nella grossezza di un miglio solo.

SALV. L'istesse montagne appunto della Luna ce ne fanno testimonianza, le quali, ferite da una parte dal Sole, gettano dall'opposta ombre negrissime, terminate e taglienti più assai dell'ombre delle nostre; che quando elle fussero diafane, mai non avremmo potuto conoscere asprezza veruna nella superficie della Luna, né veder quelle cuspidi luminose staccate dal termine che distingue la parte illuminata dalla tenebrosa; anzi né meno vedremmo noi questo medesimo termine così distinto, se fusse vero che 'l lume del Sole penetrasse la profondità della Luna; anzi, per il detto medesimo dell'autore, bisognerebbe vedere il passaggio e confine tra la parte vista e la non vista dal Sole assai confuso e misto di luce e tenebre, ché bene è necessario che quella materia che dà il transito a i raggi solari nella profondità di dua mila miglia, sia tanto trasparente che pochissimo gli contrasti nella centesima o minor parte di tal grossezza: tuttavia il termine che separa la parte illuminata dalla oscura è tagliente e così distinto quanto è distinto il bianco dal nero, e massime dove il taglio passa sopra la parte della Luna naturalmente più chiara e più aspra; ma dove sega le macchie antiche, le quali sono pianure, per andare elle sfericamente inclinandosi, sì che ricevono i raggi del Sole obliquissimi, quivi il termine non è così tagliente, mediante la illuminazione più languida. Quello finalmente ch'ei dice del non si diminuire ed abbacinare la luce secondaria secondo che la Luna va crescendo, ma conservarsi continuamente della medesima efficacia, è falsissimo; anzi, poco si vede nella quadratura, quando, per l'opposito, ella dovrebbe vedersi più viva, potendosi vedere fuor del crepuscolo, nella notte più profonda. Concludiamo per tanto, esser la reflession della Terra potentissima nella Luna; e, quello di che dovrete far maggiore stima, cavatene un'altra congruenza bellissima: cioè, che se è vero che i pianeti operino sopra la Terra col moto e col lume, forse la Terra non meno sarà potente a operar reciprocamente in loro col medesimo lume e per avventura col moto ancora; e quando anco ella non si movesse, pur gli può restare la medesima operazione, perché già, come si è veduto, l'azione del lume è la medesima appunto cioè del lume del Sole reflesso, e 'l moto non fa altro che la variazione de gli aspetti, la quale segue nel modo medesimo facendo muover la Terra e star fermo il Sole, che se si faccia per l'opposito.

SIMP. Non si troverà alcuno de i filosofi che abbia detto che questi corpi inferiori operino ne i celesti, ed Aristotile dice chiaro il contrario.

SALV. Aristotile e gli altri che non han saputo che la Terra e la Luna si illuminino scambievolmente, son degni di scusa; ma sarebber ben degni di riprensione se, mentre vogliono che noi concediamo e crediamo a loro che la Luna operi in Terra col lume, e' volessin poi a noi, che gli aviamo insegnato che la Terra illumina la Luna, negare l'azione della Terra nella Luna.

SIMP. In somma io sento in me un'estrema repugnanza nel potere ammettere questa società che voi vorreste persuadermi tra la Terra e la Luna, ponendola, come si dice, in ischiera con le stelle; ché, quando altro non ci fusse, la gran separazione e lontananza tra essa e i corpi celesti mi par che necessariamente concluda una grandissima dissimilitudine tra di loro.

SALV. Vedete, signor Simplicio, quanto può un inveterato affetto ed una radicata opinione; poiché è tanto gagliarda, che vi fa parer favorevoli quelle cose medesime che voi stesso producete contro di voi. Che se la separazione e lontananza sono accidenti validi per persuadervi una gran diversità di nature, convien che per l'opposito la vicinanza e contiguità importino similitudine: ma quanto è più vicina la Luna alla Terra che a qualsivoglia altro de i globi celesti? Confessate dunque, per la vostra medesima concessione (ed averete anco altri filosofi per compagni), grandissima affinità esser tra la Terra e la Luna. Or seguitiamo avanti, e proponete se altro ci resta da considerare circa le difficultà che voi moveste contro le congruenze tra questi due corpi.

SIMP. Ci resterebbe non so che in proposito della solidità della Luna, la quale io argumentava dall'esser ella sommamente pulita e liscia, e voi dall'esser montuosa. Un'altra difficultà mi nasceva per il credere io che la reflession del mare dovesse esser, per l'egualità della sua superficie più gagliarda che quella della Terra, la cui superficie è tanto scabrosa ed opaca.

SALV. Quanto al primo dubbio, dico che, sì come nelle parti della Terra, che tutte per la lor gravità conspirano ad approssimarsi quanto più possono al centro, alcune tuttavia ne rimangono più remote che l'altre, cioè le montagne più delle pianure, e questo per la lor solidità e durezza (ché se fusser di materia fluida si spianerebbero), così il veder noi alcune parti della Luna restare elevate sopra la sfericità delle parti più basse arguisce la loro durezza, perché è credibile che la materia della Luna si figuri in forma sferica per la concorde conspirazione di tutte le sue parti al medesimo centro. Circa l'altro dubbio, parmi che per le cose che aviamo considerate accader negli specchi, possiamo intender benissimo che la reflession del lume che vien dal mare sia inferiore assai a quella che vien dalla terra, intendendo però della reflessione universale; perché quanto alla particolare che la superficie dell'acqua quieta manda in un luogo determinato, non ha dubbio che chi si constituirà in tal luogo, vedrà nell'acqua un reflesso potentissimo, ma da tutti gli altri luoghi si vedrà la superficie dell'acqua più oscura di quella della terra. E per mostrarlo al senso, andiamo qua in sala e versiamo un poco di acqua sul pavimento: ditemi ora, non si mostr'egli questo mattone bagnato più oscuro assai degli altri asciutti? Certo sì, e tale si mostrerà egli rimirato da qualsivoglia luogo, eccettuatone un solo, e questo è quello dove arriva il reflesso del lume che entra per quella finestra: tiratevi adunque indietro pian piano.

SIMP. Di qui veggo io la parte bagnata più lucida del resto del pavimento, e veggo che ciò avviene perché il reflesso del lume, che entra per la finestra, viene verso di me.

SALV. Quel bagnare non ha fatto altro che riempier quelle piccole cavità che sono nel mattone e ridur la sua superficie a un piano esquisito, onde poi i raggi reflessi vanno uniti verso un medesimo luogo: ma il resto del pavimento asciutto ha la sua asprezza, cioè una innumerabil varietà di inclinazioni nelle sue minime particelle, onde le reflessioni del lume vanno verso tutte le parti, ma più debili che se andasser tutte unite insieme; e però poco o niente si varia il suo aspetto per riguardarlo da diverse bande, ma da tutti i luoghi si mostra l'istesso, ma ben men chiaro assai che quella reflession della parte bagnata. Concludo per tanto che la superficie del mare, veduta dalla Luna, sì come apparirebbe egualissima (trattone le isole e gli scogli), così apparirebbe men chiara che quella della terra, montuosa e ineguale. E se non fusse ch'io non vorrei parer, come si dice, di volerne troppo, vi direi d'aver osservato nella Luna quel lume secondario, ch'io dico venirle dalla reflession del globo terrestre, esser notabilmente più chiaro due o tre giorni avanti la congiunzione che doppo, cioè quando noi la veggiamo avanti l'alba in oriente che quando si vede la sera, doppo il tramontar del Sole, in occidente; della qual differenza ne è causa che l'emisferio terrestre che si oppone alla Luna orientale ha poco mare ed assaissima terra, avendo tutta l'Asia, doveché, quando ella è in occidente, riguarda grandissimi mari, cioè tutto l'Oceano Atlantico sino alle Americhe: argomento assai probabile del mostrarsi meno splendida la superficie dell'acqua che quella della terra.

SIMP. Ma credete voi forse che quelle gran macchie che si veggono nella faccia della Luna siano mari, e il resto più chiaro terra, o cosa tale? Adunque, per vostro credere, ella farebbe un aspetto simile a quello che noi veggiamo nella Luna, delle 2 parti massime.

SALV. Questo che voi domandate è il principio delle incongruenze ch'io stimo esser tra la Luna e la Terra, dalle quali sarà tempo che noi ci sbrighiamo, ché pur troppo siamo dimorati in questa Luna. Dico dunque che quando in natura non fusse altro che un modo solo per far apparir due superficie, illustrate dal Sole, una più chiara dell'altra, e che questo fosse per esser una di terra e l'altra di acqua, bisognerebbe necessariamente dire che la superficie della Luna fosse parte terrea e parte aquea; ma perché vi sono più modi conosciuti da noi, che posson cagionare il medesimo effetto, ed altri per avventura ne posson essere incogniti a noi, però io non ardirei di affermare, questo più che quello esser nella Luna. Già si è veduto di sopra come una piastra d'argento bianchito, col toccarlo col brunitoio, di candido si rappresenta oscuro; la parte umida della Terra si mostra più oscura della arida; ne i dorsi delle montagne, le parti silvose appariscono assai più fosche delle nude e sterili; ciò accade, perché tra le piante casca gran quantità di ombra ed i luoghi aprici son tutti illuminati dal Sole; e questa mistione di ombre opera tanto, che voi vedete ne i velluti a opera il color della seta tagliata mostrarsi molto più oscuro che quel della non tagliata, mediante le ombre disseminate tra pelo e pelo, ed il velluto piano parimente assai più fosco che un ermisino fatto della medesima seta, sì che quando nella Luna fossero cose che imitassero grandissime selve l'aspetto loro potrebbe rappresentarci le macchie che noi veggiamo; una tal differenza farebbero s'elle fusser mari e finalmente non repugna che potesse esser che quelle macchie fosser realmente di color più oscuro del rimanente, ché in questa guisa la neve fa comparir le montagne più chiare. Quello che si vede manifestamente nella Luna è che le parti più oscure son tutte pianure, con pochi scogli e argini dentrovi, ma pur ve ne son alcuni: il restante più chiaro è tutto pieno di scogli, montagne, arginetti rotondi e di altre figure; ed in particolare intorno alle macchie sono grandissime tirate di montagne. Dell'esser le macchie superficie piane, ce ne assicura il veder come il termine che distingue la parte illuminata dall'oscura, nel traversar le macchie fa il taglio eguale, ma nelle parti chiare si mostra per tutto anfrattuoso e merlato. Ma non so già se questa egualità di superficie possa esser bastante per sé sola a far apparir l'oscurità, e credo più tosto di no. Reputo, oltre a questo, la Luna differentissima dalla Terra, perché, se bene io mi immagino che quelli non sien paesi oziosi e morti, non affermo però che vi sieno movimenti e vita, e molto meno che vi si generino piante, animali o altre cose simili alle nostre, ma, se pur ve n'è, fussero diversissime, e remote da ogni nostra immaginazione: e muovomi a così credere, perché, primamente, stimo che la materia del globo lunare non sia di terra e di acqua, e questo solo basta a tòr via le generazioni e alterazioni simili alle nostre; ma, posto anco che lassù fosse acqua e terra, ad ogni modo non vi nascerebbero piante ed animali simili a i nostri, e questo per due ragioni principali. La prima è, che per le nostre generazioni son tanto necessarii gli aspetti variabili del Sole, che senza essi il tutto mancherebbe: ora le abitudini del Sole verso la Terra son molto differenti da quelle verso la Luna Noi, quanto all'illuminazion diurna, abbiamo nella maggior parte della Terra ogni ventiquattr'ore parte di giorno e parte di notte, il quale effetto nella Luna si fa in un mese; e quello abbassamento ed alzamento annuo per il quale il Sole ci apporta le diverse stagioni e la disegualità de i giorni e delle notti, nella Luna si finisce pur in un mese; e dove il Sole a noi si alza ed abbassa tanto, che dalla massima alla minima altezza vi corre circa quarantasette gradi di differenza, cioè quanta è la distanza dall'uno all'altro tropico, nella Luna non importa altro che gradi dieci o poco più, ché tanto importano le massime latitudini del dragone di qua e di là dall'eclittica. Considerisi ora qual sarebbe l'azion del Sole dentro alla zona torrida quando e' durasse quindici giorni continui a ferirla con i suoi raggi, che senz'altro s'intenderà che tutte le piante e le erbe e gli animali si dispergerebbero; e se pur vi si facessero generazioni, sarebber di erbe, piante ed animali diversissimi da i presenti. Secondariamente, io tengo per fermo che nella Luna non siano piogge, perché quando in qualche parte vi si congregassero nugole, come intorno alla Terra, ci verrebbero ad ascondere alcuna di quelle cose che noi col telescopio veggiamo nella Luna, ed in somma in qualche particella ci varierebber la vista; effetto che io per lunghe e diligenti osservazioni non ho veduto mai, ma sempre vi ho scorto una uniforme serenità purissima.

SAGR. A questo si potrebbe rispondere, o che vi fossero grandissime rugiade, o che vi piovesse ne i tempi della lor notte, cioè quando il Sole non la illumina.

SALV. Se per altri riscontri noi avessimo indizii che in essa si facesser generazioni simili alle nostre, e solo ci mancasse il concorso delle piogge, potremmo trovarci questo o altro temperamento che supplisse in vece di quelle, come accade nell'Egitto dell'inondazione del Nilo, ma non incontrando accidente alcuno che concordi co i nostri, de' molti che si ricercherebbero per produrvi gli effetti simili, non occorre affaticarsi per introdurne un solo, e quello anco non perché se n'abbia sicura osservazione, ma per una semplice non repugnanza. Oltre che, quando mi fosse domandato quello che la prima apprensione ed il puro naturale discorso mi detta circa il prodursi là cose simili o pur differenti dalle nostre, io direi sempre, differentissime ed a noi del tutto inimmaginabili, che così mi pare che ricerchi la ricchezza della natura e l'onnipotenza del Creatore e Governatore.

SAGR. Estrema temerità mi è parsa sempre quella di coloro che voglion far la capacità umana misura di quanto possa e sappia operar la natura, dove che, all'incontro, e' non è effetto alcuno in natura, per minimo che e' sia, all'intera cognizion del quale possano arrivare i più specolativi ingegni. Questa così vana prosunzione d'intendere il tutto non può aver principio da altro che dal non avere inteso mai nulla, perché, quando altri avesse esperimentato una volta sola a intender perfettamente una sola cosa ed avesse gustato veramente come è fatto il sapere, conoscerebbe come dell'infinità dell'altre conclusioni niuna ne intende.

SALV. Concludentissimo è il vostro discorso; in confermazion del quale abbiamo l'esperienza di quelli che intendono o hanno inteso qualche cosa, i quali quanto più sono sapienti, tanto più conoscono e liberamente confessano di saper poco; ed il sapientissimo della Grecia, e per tale sentenziato da gli oracoli, diceva apertamente conoscer di non saper nulla.

SIMP. Convien dunque dire, o che l'oracolo, o l'istesso Socrate, fusse bugiardo, predicandolo quello per sapientissimo, e dicendo questo di conoscersi ignorantissimo.

SALV. Non ne seguita né l'uno né l'altro, essendo che amendue i pronunziati posson esser veri. Giudica l'oracolo sapientissimo Socrate sopra gli altri uomini, la sapienza de i quali è limitata; si conosce Socrate non saper nulla in relazione alla sapienza assoluta, che è infinita; e perché dell'infinito tal parte n'è il molto che 'l poco e che il niente (perché per arrivar, per esempio, al numero infinito tanto è l'accumular migliaia, quanto decine e quanto zeri), però ben conosceva Socrate, la terminata sua sapienza esser nulla all'infinita, che gli mancava. Ma perché pur tra gli uomini si trova qualche sapere, e questo non egualmente compartito a tutti, potette Socrate averne maggior parte de gli altri, e perciò verificarsi il responso dell'oracolo.

SAGR. Parmi di intender benissimo questo punto. Tra gli uomini, signor Simplicio, è la potestà di operare, ma non egualmente participata da tutti: e non è dubbio che la potenza d'un imperadore è maggiore assai che quella d'una persona privata; ma e questa e quella è nulla in comparazione dell'onnipotenza divina. Tra gli uomini vi sono alcuni che intendon meglio l'agricoltura che molti altri; ma il saper piantar un sermento di vite in una fossa, che ha da far col saperlo far barbicare, attrarre il nutrimento, da quello scierre questa parte buona per farne le foglie, quest'altra per formarne i viticci, quella per i grappoli, quell'altra per l'uva, ed un'altra per i fiocini, che son poi l'opere della sapientissima natura? Questa è una sola opera particolare delle innumerabili che fa la natura, ed in essa sola si conosce un'infinita sapienza, talché si può concludere, il saper divino esser infinite volte infinito.

SALV. Eccone un altro esempio. Non direm noi che 'l sapere scoprire in un marmo una bellissima statua ha sublimato l'ingegno del Buonarruoti assai assai sopra gli ingegni comuni degli altri uomini? E questa opera non è altro che imitare una sola attitudine e disposizion di membra esteriore e superficiale d'un uomo immobile; e però che cosa è in comparazione d'un uomo fatto dalla natura, composto di tante membra esterne ed interne, de i tanti muscoli, tendini, nervi, ossa, che servono a i tanti e sì diversi movimenti? Ma che diremo de i sensi, delle potenze dell'anima, e finalmente dell'intendere? non possiamo noi dire, e con ragione, la fabbrica d'una statua cedere d'infinito intervallo alla formazion d'un uomo vivo, anzi anco alla formazion d'un vilissimo verme?

SAGR. E qual differenza crediamo che fusse tra la colomba d'Archita ed una della natura?

SIMP. O io non sono un di quegli uomini che intendano, o 'n questo vostro discorso è una manifesta contradizione. Voi tra i maggiori encomii, anzi pur per il massimo di tutti, attribuite all'uomo, fatto dalla natura, questo dell'intendere; e poco fa dicevi con Socrate che 'l suo intendere non era nulla; adunque bisognerà dire che né anco la natura abbia inteso il modo di fare un intelletto che intenda.

SALV. Molto acutamente opponete; e per rispondere all'obbiezione, convien ricorrere a una distinzione filosofica, dicendo che l'intendere si può pigliare in due modi, cioè intensive, o vero extensive: e che extensive, cioè quanto alla moltitudine degli intelligibili, che sono infiniti, l'intender umano è come nullo, quando bene egli intendesse mille proposizioni, perché mille rispetto all'infinità è come un zero; ma pigliando l'intendere intensive, in quanto cotal termine importa intensivamente, cioè perfettamente, alcuna proposizione, dico che l'intelletto umano ne intende alcune così perfettamente, e ne ha così assoluta certezza, quanto se n'abbia l'intessa natura; e tali sono le scienze matematiche pure, cioè la geometria e l'aritmetica, delle quali l'intelletto divino ne sa bene infinite proposizioni di più, perché le sa tutte, ma di quelle poche intese dall'intelletto umano credo che la cognizione agguagli la divina nella certezza obiettiva, poiché arriva a comprenderne la necessità, sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore.

SIMP. Questo mi pare un parlar molto resoluto ed ardito.

SALV. Queste son proposizioni comuni e lontane da ogni ombra di temerità o d'ardire e che punto non detraggono di maestà alla divina sapienza, sì come niente diminuisce la Sua onnipotenza il dire che Iddio non può fare che il fatto non sia fatto. Ma dubito, signor Simplicio, che voi pigliate ombra per esser state ricevute da voi le mie parole con qualche equivocazione. Però, per meglio dichiararmi, dico che quanto alla verità di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l'istessa che conosce la sapienza divina; ma vi concederò bene che il modo col quale Iddio conosce le infinite proposizioni, delle quali noi conosciamo alcune poche, è sommamente più eccellente del nostro, il quale procede con discorsi e con passaggi di conclusione in conclusione, dove il Suo è di un semplice intuito: e dove noi, per esempio, per guadagnar la scienza d'alcune passioni del cerchio, che ne ha infinite, cominciando da una delle più semplici e quella pigliando per sua definizione, passiamo con discorso ad un'altra, e da questa alla terza, e poi alla quarta, etc., l'intelletto divino con la semplice apprensione della sua essenza comprende, senza temporaneo discorso, tutta la infinità di quelle passioni; le quali anco poi in effetto virtualmente si comprendono nelle definizioni di tutte le cose, e che poi finalmente, per esser infinite, forse sono una sola nell'essenza loro e nella mente divina. Il che né anco all'intelletto umano è del tutto incognito, ma ben da profonda e densa caligine adombrato, la qual viene in parte assottigliata e chiarificata quando ci siamo fatti padroni di alcune conclusioni fermamente dimostrate e tanto speditamente possedute da noi, che tra esse possiamo velocemente trascorrere: perché in somma, che altro è l'esser nel triangolo il quadrato opposto all'angolo retto eguale a gli altri due che gli sono intorno, se non l'esser i parallelogrammi sopra base comune e tra le parallele, tra loro eguali? e questo non è egli finalmente il medesimo che essere eguali quelle due superficie che adattate insieme non si avanzano, ma si racchiuggono dentro al medesimo termine? Or questi passaggi, che l'intelletto nostro fa con tempo e con moto di passo in passo, l'intelletto divino, a guisa di luce, trascorre in un instante, che è l'istesso che dire, gli ha sempre tutti presenti. Concludo per tanto, l'intender nostro, e quanto al modo e quanto alla moltitudine delle cose intese, esser d'infinito intervallo superato dal divino; ma non però l'avvilisco tanto, ch'io lo reputi assolutamente nullo; anzi, quando io vo considerando quante e quanto maravigliose cose hanno intese investigate ed operate gli uomini, pur troppo chiaramente conosco io ed intendo, esser la mente umana opera di Dio, e delle più eccellenti.

SAGR. Io son molte volte andato meco medesimo considerando, in proposito di questo che di presente dite, quanto grande sia l'acutezza dell'ingegno umano; e mentre io discorro per tante e tanto maravigliose invenzioni trovate da gli uomini, sì nelle arti come nelle lettere, e poi fo reflessione sopra il saper mio, tanto lontano dal potersi promettere non solo di ritrovarne alcuna di nuovo, ma anco di apprendere delle già ritrovate, confuso dallo stupore ed afflitto dalla disperazione, mi reputo poco meno che infelice. S'io guardo alcuna statua delle eccellenti, dico a me medesimo: E quando sapresti levare il soverchio da un pezzo di marmo, e scoprire sì bella figura che vi era nascosa? quando mescolare e distendere sopra una tela o parete colori diversi, e con essi rappresentare tutti gli oggetti visibili, come un Michelagnolo, un Raffaello, un Tiziano? S'io guardo quel che hanno ritrovato gli uomini nel compartir gl'intervalli musici, nello stabilir precetti e regole per potergli maneggiar con diletto mirabile dell'udito, quando potrò io finir di stupire? Che dirò de i tanti e sì diversi strumenti? La lettura de i poeti eccellenti di qual meraviglia riempie chi attentamente considera l'invenzion de' concetti e la spiegatura loro? Che diremo dell'architettura? che dell'arte navigatoria? Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza di mente fu quella di colui che s'immaginò di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? parlare con quelli che son nell'Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e dieci mila anni? e con qual facilità? con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta. Sia questo il sigillo di tutte le ammirande invenzioni umane, e la chiusa de' nostri ragionamenti di questo giorno: ed essendo passate le ore più calde, il signor Salviati penso io che avrà gusto di andare a godere de i nostri freschi in barca; e domani vi starò attendendo amendue per continuare i discorsi cominciati, etc.


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