Giornata Seconda (segue dalla pagina precedente)

SALV. Parmi dunque di ritrar dal vostro parlare, che non venendo la pietra cacciata dal braccio di colui, la sua non venga altrimenti ad essere una proiezione.

SIMP. Non si può propriamente chiamar moto di proiezione.

SALV. Quello dunque che dice Aristotile del moto, del mobile e del motore de i proietti, non ha che fare nel nostro proposito; e se non ci ha che fare, perché lo producete?

SIMP. Producolo per amor di quella virtù impressa, nominata ed introdotta da voi, la quale, non essendo al mondo, non può operar nulla, perché non entium nullæ sunt operationes; e però non solo del moto de i proietti, ma di ogn'altro che non sia naturale, bisogna attribuirne la causa motrice al mezo, del quale non si è avuta la debita considerazione, e però il detto sin qui resta inefficace.

SALV. Orsù tutto in buon'ora. Ma ditemi: già che la vostra instanza si fonda tutta su la nullità della virtù impressa, quando io vi abbia dimostrato che 'l mezo non ha che fare nella continuazion del moto de' proietti, dopo che son separati dal proiciente, lascierete voi in essere la virtù impressa, o pur vi moverete con qualch'altr'assalto alla sua destruzione?

SIMP. Rimossa l'azione del mezo, non veggo che si possa ricorrere ad altro che alla facultà impressa dal movente.

SALV. Sarà bene, per levare il più che sia possibile le cause dell'andarsene in infinito con le altercazioni, che voi quanto si può distintamente spianiate qual sia l'operazione del mezo nel continuar il moto al proietto.

SIMP. Il proiciente ha il sasso in mano; muove con velocità e forza il braccio, al cui moto si muove non più il sasso che l'aria circonvicina, onde il sasso, nell'esser abbandonato dalla mano, si trova nell'aria che già si muove con impeto, e da quella vien portato: che se l'aria non operasse, il sasso cadrebbe dalla mano al piede del proiciente.

SALV. E voi sete stato tanto credulo che vi sete lasciato persuader queste vanità, mentre in voi stesso avevi i sensi da confutarle e da intenderne il vero? Però ditemi: quella gran pietra e quella palla d'artiglieria che, posata solamente sopra una tavola, restava immobile contro a qualsivoglia impetuoso vento, secondo che voi poco fa affermaste, se fusse stata una palla di sughero o altrettanta bambagia, credete che il vento l'avesse mossa di luogo?

SIMP. Anzi so certo che l'averebbe portata via, e tanto più velocemente, quanto la materia fusse stata più leggiera; ché per questo veggiamo noi le nugole esser portate con velocità pari a quella del vento stesso che le spigne.

SALV. E 'l vento che cosa è?

SIMP. Il vento si definisce, non esser altro che aria mossa.

SALV. Adunque l'aria mossa molto più velocemente e 'n maggior distanza traporta le materie leggierissime che le gravissime?

SIMP. Sicuramente.

SALV. Ma quando voi aveste a scagliar col braccio un sasso, e poi un fiocco di bambagia, chi si moverebbe con più velocità e in maggior lontananza?

SIMP. La pietra assaissimo; anzi la bambagia mi cascherebbe a i piedi.

SALV. Ma se quel che muove il proietto, doppo l'esser lasciato dalla mano, non è altro che l'aria mossa dal braccio e l'aria mossa più facilmente spigne le materie leggiere che le gravi, come dunque il proietto di bambagia non va più lontano e più veloce di quel di pietra? bisogna pure che nella pietra resti qualche cosa, oltre al moto dell'aria. Di più, se da quella trave pendessero due spaghi lunghi egualmente, e in capo dell'uno fusse attaccata una palla di piombo, e una di bambagia nell'altro, ed amendue si allontanassero egualmente dal perpendicolo, e poi si lasciassero in libertà non è dubbio che l'una e l'altra si moverebbe verso 'l perpendicolo, e che spinta dal proprio impeto lo trapasserebbe per certo intervallo, e poi vi ritornerebbe. Ma qual di questi due penduli credete voi che durasse più a muoversi, prima che fermarsi a piombo?

SIMP. La palla di piombo andrà in qua e 'n là mille volte, e quella di bambagia dua o tre al più.

SALV. Talché quell'impeto e quella mobilità, qualunque se ne sia la causa, più lungamente si conserva nelle materie gravi che nelle leggieri. Vengo ora a un altro punto, e vi domando: perché l'aria non porta via adesso quel cedro ch'è su quella tavola?

SIMP. Perché ella stessa non si muove.

SALV. Bisogna dunque che il proiciente conferisca il moto all'aria, col quale ella poi muova il proietto. Ma se tal virtù non si può imprimere, non si potendo far passare un accidente d'un subbietto in un altro, come può passare dal braccio nell'aria? non è forse l'aria un subbietto altro dal braccio?

SIMP. Rispondesi che l'aria, per non esser né grave né leggiera nella sua regione, è disposta a ricevere facilissimamente ogni impulso ed a conservarlo ancora.

SALV. Ma se i penduli adesso adesso ci hanno mostrato che il mobile, quanto meno participa di gravità, tanto è meno atto a conservare il moto, come potrà essere che l'aria, che in aria non ha punto di gravità, essa sola conservi il moto concepito? Io credo, e so che voi ancora credete al presente, che non prima si ferma il braccio, che l'aria attornogli. Entriamo in camera, e con uno sciugatoio agitiamo quanto più si possa l'aria, e fermato il panno conducasi una piccola candeletta accesa nella stanza, o lascivisi andare una foglia d'oro volante; che voi dal vagar quieto dell'una e dell'altra v'accorgerete dell'aria ridotta immediatamente a tranquillità. Io potrei addurvi mille esperienze, ma dove non bastasse una di queste, si potrebbe aver la cura per disperata affatto.

SAGR. Quando si tira una freccia contr'al vento, quanto è incredibil cosa che quel filetto d'aria, spinto dalla corda vadia al dispetto della fortuna accompagnando la freccia! Ma io ancora vorrei sapere un particolare da Aristotile, per il quale prego il signor Simplicio che mi favorisca di risposta. Quando col medesimo arco fussero tirate due freccie, una per punta al modo consueto, e l'altra per traverso, cioè posandola per lo lungo su la corda, e così distesa tirandola, vorrei sapere qual di esse andrebbe più lontana. Favoritemi in grazia di risposta, benché forse la dimanda vi paia più tosto ridicola che altrimenti; e scusatemi, perché io, che ho, come voi vedete, anzi del grossetto che no, non arrivo più in alto con la mia speculativa.

SIMP. Io non ho veduto mai tirar le freccie per traverso: tuttavia credo che intraversata non andrebbe né anco la ventesima parte di quel ch'ella va per punta.

SAGR. E perché io ho creduto l'istesso, quindi è che mi è nata occasione di metter dubbio tra 'l detto d'Aristotile e l'esperienza. Perché, quanto all'esperienza, s'io metterò sopra quella tavola due freccie in tempo che spiri vento gagliardo, una posata per il filo del vento e l'altra intraversata il vento porterà via speditamente questa e lascierà star l'altra: ed il medesimo par che dovesse accadere, quando la dottrina d'Aristotile fusse vera, delle due tirate con l'arco; imperocché la traversa vien cacciata da una gran quantità dell'aria mossa dalla corda, cioè da tanta quanta è la sua lunghezza, dove che l'altra freccia non riceve impulso da più aria che si sia il piccolissimo cerchietto della sua grossezza: ed io non so immaginarmi la cagione di tal diversità, e desidererei di saperla.

SIMP. La causa mi par assai manifesta, ed è perché la freccia tirata per punta ha a penetrar poca quantità d'aria, e l'altra ne ha da fender tanta quanta è tutta la sua lunghezza.

SAGR. Adunque le freccie tirate hanno a penetrar l'aria? Oh se l'aria va con loro, anzi è quella che le conduce, che penetrazione vi può essere? non vedete voi che a questo modo bisognerebbe che la freccia si movesse con maggior velocità che l'aria? e questa maggior velocità, chi la conferisce alla freccia? vorrete voi dir che l'aria le dia velocità maggiore della sua propria? Intendete dunque, signor Simplicio, che 'l negozio procede per l'appunto a rovescio di quel che dice Aristotile, e che tanto è falso che 'l mezo conferisca il moto al proietto, quanto è vero che egli solo è che gli arreca impedimento: e inteso questo, intenderete senza trovar difficultà che quando l'aria si muove veramente, molto meglio porta seco la freccia per traverso che per lo dritto, perché molta è l'aria che la spigne in quella postura, e pochissima in questa; ma tirate con l'arco, perché l'aria sta ferma, la freccia traversa, percotendo in molt'aria, molto viene impedita, e l'altra per punta facilissimamente supera l'ostacolo della minima quantità d'aria che se le oppone.

SALV. Quante proposizioni ho io notate in Aristotile (intendendo sempre nella filosofia naturale), che sono non pur false, ma false in maniera, che la sua diametralmente contraria è vera, come accade di questa! Ma seguitando il nostro proposito, credo che il signor Simplicio resti persuaso che dal veder cader la pietra nel medesimo luogo sempre, non si possa conietturare circa il moto o la stabilità della nave; e quando il detto sin qui non gli bastasse, ci è l'esperienza di mezo, che lo potrà del tutto assicurare: nella quale esperienza, al più che e' potesse vedere, sarebbe il rimanere indietro il mobile cadente, quando e' fusse di materia assai leggiera e che l'aria non seguisse il moto della nave; ma quando l'aria si movesse con pari velocità, niuna immaginabil diversità si troverebbe né in questa né in qualsivoglia altra esperienza, come appresso son per dirvi. Or, quando in questo caso non apparisca diversità alcuna, che si deve pretender di veder nella pietra cadente dalla sommità della torre, dove il movimento in giro è alla pietra non avventizio e accidentario, ma naturale ed eterno, e dove l'aria segue puntualmente il moto della torre, e la torre quel del globo terrestre? Avete voi, signor Simplicio, da replicar altro sopra questo particulare?

SIMP. Non altro, se non che non veggio sin qui provata la mobilità della Terra.

SALV. Né io tampoco ho preteso di provarla, ma solo di mostrare come dall'esperienza portata da gli avversarii per argomento della fermezza non si può cavar nulla; sì come credo mostrar dell'altre.

SAGR. Di grazia, signor Salviati, prima che passare ad altro, concedetemi che io metta in campo certa difficultà che mi si è raggirata per la fantasia mentre voi stavi con tanta flemma sminuzolando al signor Simplicio questa esperienza della nave.

SALV. Noi siam qui per discorrere, ed è bene che ogn'uno muova le difficultà che gli sovvengono, ché questa è la strada per venir in cognizion del vero. Però dite.

SAGR. Quando sia vero che l'impeto col quale si muove la nave resti impresso indelebilmente nella pietra, dopo che s'è separata dall'albero, e sia in oltre vero che questo moto non arrechi impedimento o ritardamento al moto retto all'ingiù, naturale alla pietra, è forza che ne segua un effetto meraviglioso in natura. Stia la nave ferma, e sia il tempo della caduta d'un sasso dalla cima dell'albero due battute di polso: muovasi poi la nave, e lascisi andar dal medesimo luogo l'istesso sasso, il quale, per le cose dette, metterà pur il tempo di due battute ad arrivare a basso, nel qual tempo la nave avrà, verbigrazia, scorso venti braccia, talché il vero moto della pietra sarà stato una linea trasversale, assai più lunga della prima retta e perpendicolare, che è la sola lunghezza dell'albero: tuttavia la palla l'avrà passata nel medesimo tempo. Intendasi di nuovo il moto della nave accelerato assai più, sì che la pietra nel cadere dovrà passare una trasversale ancor più lunga dell'altra, ed insomma, crescendosi la velocità della nave quanto si voglia, il sasso cadente descriverà le sue trasversali sempre più e più lunghe, e pur tutte le passerà nelle medesime due battute di polso: ed a questa similitudine, quando in cima di una torre fusse una colubrina livellata, e con essa si tirassero tiri di punto bianco, cioè paralleli all'orizonte, per poca o molta carica che si desse al pezzo, sì che la palla andasse a cadere ora lontana mille braccia, or quattro mila, or sei mila, or dieci mila etc., tutti questi tiri si spedirebbero in tempi eguali tra di loro, e ciascheduno eguale al tempo che la palla consumerebbe a venire dalla bocca del pezzo sino in terra, lasciata, senz'altro impulso, cadere semplicemente giù a perpendicolo. Or par meravigliosa cosa che nell'istesso breve tempo della caduta a piombo sino in terra dall'altezza, verbigrazia, di cento braccia, possa la medesima palla, cacciata dal fuoco, passare or quattrocento, or mille, or quattromila, ed or diecimila braccia, sì che la palla in tutti i tiri di punto bianco si trattenga sempre in aria per tempi eguali.

SALV. La considerazione per la sua novità è bellissima, e quando l'effetto sia vero, è meraviglioso: e della sua verità io non ne dubito; e quando non ci fusse l'impedimento accidentario dell'aria, io tengo per fermo che se nell'uscir la palla del pezzo si lasciasse cader un'altra dalla medesima altezza giù a piombo, amendue arriverebbero in terra nel medesimo instante, ancorché quella avesse camminato diecimila braccia di distanza, e questa cento solamente; intendendo che il piano della Terra fusse eguale, che per sicurezza si potrebbe tirare sopra qualche lago. L'impedimento poi che potesse venir dall'aria, sarebbe nel ritardar il moto velocissimo del tiro. Or, se così vi piace, venghiamo alle soluzioni degli altri argomenti, già che il signor Simplicio resta (per quanto io mi creda) ben capace della nullità di questo primo, preso da i cadenti da alto a basso.

SIMP. Io non mi sento rimossi tutti gli scrupoli; e forse il difetto è mio, per non esser di così facile e veloce apprensiva come il signor Sagredo. E parmi che quando questo moto participato dalla pietra, mentre era su l'albero della nave, s'avesse, come voi dite, a conservar indelebilmente in lei, dopo ancora che si trova separata dalla nave, bisognerebbe che similmente quando alcuno, sendo sopra un cavallo che corresse velocemente, si lasciasse cader di mano una palla, quella, caduta in terra, continuasse il suo moto e seguitasse il corso del cavallo senza restargli a dietro: il quale effetto non credo io che si vegga, se non quando colui ch'è sul cavallo la gettasse con forza verso la parte del corso; ma senza questo, credo ch'ella resterà in terra dov'ella percuote.

SALV. Io credo che voi v'inganniate d'assai, e son sicuro che l'esperienza vi mostrerà il contrario, e che la palla, arrivata che sia in terra, correrà insieme col cavallo, né gli resterà indietro se non quanto l'asprezza ed inegualità della strada l'impedirà: e la ragione mi par pure assai chiara. Imperocché, quando voi, stando fermo, tiraste per terra la medesima palla, non continuerebbe ella il moto anco fuor della vostra mano? e per tanto più lungo intervallo, quanto la superficie fusse più eguale, sì che, verbigrazia, sopra il ghiaccio andrebbe lontanissima?

SIMP. Questo non ha dubbio, quando io gli do impeto col braccio; ma nell'altro caso si suppone che colui che è sul cavallo la lasci solamente cadere.

SALV. Così voglio io che segua. Ma quando voi la tirate col braccio, che altro rimane alla palla, uscita che ella vi è di mano, che il moto concepito dal vostro braccio, il quale, in lei conservato, continua di condurla innanzi? ora, che importa che quell'impeto sia conferito alla palla più dal vostro braccio che dal cavallo? mentre che voi sete a cavallo, non corre la vostra mano, ed in conseguenza la palla, così veloce come il cavallo stesso? certo sì; adunque, nell'aprir solamente la mano, la palla si parte col moto già concepito non dal vostro braccio per moto vostro particolare, ma dal moto dependente dall'istesso cavallo, che vien comunicato a voi, al braccio, alla mano, e finalmente alla palla. Anzi voglio dirvi di più, che se colui nel correre getterà col braccio la palla al contrario del corso, ella, arrivata che sia in terra, talvolta, ancorché scagliata al contrario, pur seguiterà il corso del cavallo, e talvolta resterà ferma in terra, e solamente si muoverà all'opposito del corso quando il moto ricevuto dal braccio superasse in velocità quello della carriera. Ed è una vanità quella di alcuni che dicono, potersi dal cavaliere lanciare una zagaglia per aria verso la parte del corso e col cavallo seguirla e raggiugnerla e finalmente ripigliarla: e dico una vanità, perché a far che il proietto vi torni in mano, bisogna tirarlo all'insù, nel modo medesimo che se altri stesse fermo; perché, sia pure il corso quanto si voglia veloce, purché sia uniforme ed il proietto non sia una cosa leggierissima, sempre ricaderà in mano al proiciente, e sia pur gettato in alto quanto si voglia.

SAGR. Da questa dottrina io vengo in cognizione di alcuni problemi assai curiosi, in materia di questi proietti; il primo de' quali dovrà parer molto strano al signor Simplicio. E il problema è questo: ch'io dico che è possibile che lasciata cader semplicemente la palla da uno che in qualsivoglia modo corra velocemente, arrivata che ella sia in terra, non solo segua il corso di colui, ma di assai lo anticipi, il qual problema è connesso con questo, che il mobile lanciato dal proiciente sopra il piano dell'orizonte, può acquistar nuova velocità, maggiore assai della conferitagli da esso proiciente. Il quale effetto ho io più volte con ammirazione osservato nello stare a veder costoro che giuocano a tirar con le ruzzole, le quali si veggono, uscite che son della mano, andar per aria con certa velocità, la qual poi se gli accresce assai nell'arrivare in terra; e se ruzzolando urtano in qualche intoppo che le faccia sbalzare in alto, si veggono per aria andar assai lentamente, e ricadute in terra pur tornano a muoversi con velocità maggiore: ma quel che è ancora più stravagante, ho io ancora osservato che non solamente vanno sempre più veloci per terra che per aria, ma di due spazi fatti amendue per terra, tal volta un moto nel secondo spazio è più veloce che nel primo. Or che direbbe qui il signor Simplicio?

SIMP. Direi, la prima cosa, di non aver fatta cotale osservazione; secondariamente, direi di non la credere; direi poi, nel terzo luogo, che, quando voi me ne accertaste e che demostrativamente me l'insegnaste, voi fuste un gran demonio.

SAGR. Di quelli però di Socrate, non di quei dell'Inferno. Ma voi pur tornate su questo insegnare; io vi dico che quando uno non sa la verità da per sé, è impossibile che altri gliene faccia sapere; posso bene insegnarvi delle cose che non son né vere né false, ma le vere, cioè le necessarie, cioè quelle che è impossibile ad esser altrimenti, ogni mediocre discorso o le sa da sé o è impossibile che ei le sappia mai: e così so che crede anco il signor Salviati. E però vi dico che de i presenti problemi le ragioni son sapute da voi, ma forse non avvertite.

SIMP. Lasciamo per ora questa disputa, e concedetemi ch'io dica che non intendo né so queste cose che si trattano, e vedete pur di farmi restar capace de' problemi.

SAGR. Questo primo depende da un altro; il quale è, onde avvenga che, tirando la ruzzola con lo spago, assai più lontano ed in conseguenza con maggior forza va, che tirata con la semplice mano.

SIMP. Aristotile ancora fa non so che problemi intorno a questi proietti.

SALV. Si, e molto ingegnosi, ed in particolare quello onde avvenga che le ruzzole tonde vanno meglio che le quadre.

SAGR. E di questo, signor Simplicio, non vi darebbe l'animo di sapere la ragione, senza altrui insegnamento?

SIMP. Sì bene, sì bene; ma lasciamo le beffe.

SAGR. Tanto sapete ancora la ragion di quest'altro. Ditemi dunque: sapete che una cosa che si muova, quando vien impedita si ferma?

SIMP. Sollo; quando però l'impedimento è tanto che basti.

SAGR. Sapete voi che maggiore impedimento arreca al mobile l'avere a muoversi per terra che per aria, essendo la terra scabrosa e dura, e l'aria molle e cedente?

SIMP. E perché so questo, so che la ruzzola andrà più veloce per aria che per terra; talché il mio sapere è tutto all'opposito di quel che voi stimavi.

SAGR. Adagio, signor Simplicio. Sapete voi che nelle parti di un mobile che giri intorno al suo centro, si ritrovano movimenti verso tutte le bande? sì che altre ascendono altre descendono, altre vanno innanzi, altre all'indietro?

SIMP. Lo so, ed Aristotile me l'ha insegnato.

SAGR. E con qual dimostrazione? ditemela di grazia.

SIMP. Con quella del senso.

SAGR. Adunque Aristotile vi ha fatto vedere quel che senza lui non avereste veduto? avrebbev'egli prestato mai i suoi occhi? Voi volevi dire che Aristotile ve l'aveva detto avvertito, ricordato, e non insegnato. Quando dunque una ruzzola, senza mutar luogo, gira in se stessa, non parallela, ma eretta all'orizonte, alcune sue parti ascendono, le opposte descendono, le superiori vanno per un verso, l'inferiori per il contrario. Figuratevi ora una ruzzola che, senza mutar luogo, velocemente giri in se stessa e stia sospesa in aria, e che, in tal guisa girando, sia lasciata cadere in terra a perpendicolo: credete voi che arrivata che ella sarà in terra, seguiterà di girare in se stessa senza mutar luogo, come prima?

SIMP. Signor no.

SAGR. Ma che farà?

SIMP. Correrà per terra velocemente.

SAGR. E verso qual parte?

SIMP. Verso quella dove la porterà la sua vertigine.

SAGR. Nella sua vertigine ci son delle parti, cioè le superiori, che si muovono al contrario delle inferiori; però bisogna dire a quali ella ubidirà: ché quanto alle parti ascendenti e descendenti, l'une non cederanno all'altre, né 'l tutto andrà in giù, impedito dalla terra, né in su, per esser grave.

SIMP. Andrà la ruzzola girando per terra verso quella parte dove tendono le parti sue superiori.

SAGR. E perché non dove tendono le contrarie, cioè quelle che toccan terra?

SIMP. Perché quelle di terra vengono impedite dall'asprezza del toccamento, cioè dall'istessa scabrosità della terra; ma le superiori, che sono nell'aria tenue e cedente, sono impedite pochissimo o niente, e però la ruzzola andrà per il loro verso.

SAGR. Talché quell'attaccarsi, per così dire, le parti di sotto alla terra, fa ch'elle restano, e solo si spingono avanti le superiori.

SALV. E però quando la ruzzola cadesse sul ghiaccio o altra superficie pulitissima, non così bene scorrerebbe innanzi, ma potrebbe per avventura continuar di girare in se stessa, senza acquistar altro moto progressivo.

SAGR. È facil cosa che così seguisse; ma almeno non così speditamente andrebbe ruzzolando, come cadendo su la superficie alquanto aspra. Ma dicami il signor Simplicio: quando la ruzzola, girando velocemente in se stessa, vien lasciata cadere, perché non va ella anche per aria innanzi, come fa poi quando è in terra?

SIMP. Perché, avendo aria di sopra e di sotto, né queste parti né quelle hanno dove attaccarsi, e non avendo occasione di andar più innanzi che indietro, cade a piombo.

SAGR. Talché la sola vertigine in se stessa, senz'altro impeto, può spigner la ruzzola, arrivata che sia in terra, assai velocemente. Or venghiamo al resto. Quello spago che il ruzzolante si lega al braccio, e col quale, avvolto intorno alla ruzzola, e' la tira, che effetto fa in essa?

SIMP. La costringe a girare in se stessa, per isvilupparsi dalla corda.

SAGR. Talché quando la ruzzola arriva in terra, ella vi giugne girando in se stessa, mercé dello spagno. Non ha ella dunque cagione in se stessa di muoversi più velocemente per terra, che ella non faceva mentre era per aria?

SIMP. Certo sì: perché per aria non aveva altro impulso che quel del braccio del proiciente, e se ben aveva ancora la vertigine, questa (come si è detto) per aria non spigne punto; ma arrivando in terra, al moto del braccio s'aggiugne la progressione della vertigine, onde la velocità si raddoppia. E già intendo benissimo che rimbalzando la ruzzola in alto, la sua velocità scemerà, perché l'aiuto della circolazione gli manca; e nel ricadere in terra lo viene a racquistare, e però torna a muoversi più velocemente che per aria. Restami solo da intender che in questo secondo moto per terra ella vadia più velocemente che nel primo, perchè così ella si moverebbe in infinito, accelerandosi sempre.


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