Giornata Terza (segue dalla pagina precedente)

SIMP. Ancorché quello inconveniente massimo e del tutto incredibile, indotto da questi avversarii del Copernico sia per il discorso del signor Salviati modificato assai, non però mi par tolto via in maniera, che non gli rimanga ancora tanto di vigore che basti per atterrar cotal opinione: perché, se ho ben capito la somma ed ultima conclusione, quando si ponesse le stelle della sesta grandezza esser grandi quanto il Sole (che pur mi par gran cosa a credersi), tuttavia resterebbe vero che l'orbe magno avesse a cagionar nella sfera stellata mutazione e diversità tale qual è quella che il semidiametro della Terra produce nel Sole, che pure è osservabile; onde, non si scorgendo né una tale né tampoco una minore nelle fisse parmi che per questo il movimento annuo della Terra resti pur desolato e distrutto.

SALV. Voi ben concludereste signor Simplicio, quando non ci fusse altro da produr per la parte del Copernico; ma molt'altre cose ci restano ancora. E quanto alla replica fatta da voi, nessuna cosa ci osta che noi non possiamo suppor la lontananza delle fisse esser ancor molto maggiore di quello che si è fatto; e voi stesso, e chi si sia altro che non voglia derogare alle proposizioni ammesse da i seguaci di Tolomeo, bisognerà che ammetta per convenientissima cosa il por la sfera stellata assaissimo maggiore ancora di quello che pur ora abbiamo detto doversi stimare. Imperocché, convenendo tutti gli astronomi che della maggior tardanza delle conversioni de' pianeti ne sia cagione la maggioranza delle loro sfere e che per ciò Saturno sia più tardo di Giove e Giove del Sole, perché quello ha a descriver cerchio maggiore di questo, e questo di quest'altro, etc.; considerando che Saturno, verbigrazia, l'altezza del cui orbe è nove volte maggiore che quella del Sole, e che per ciò il tempo di una revoluzione di Saturno è 30 volte più lungo che quello di una conversion del Sole; essendo che nella dottrina di Tolomeo una conversion della sfera stellata si finisca in 36.000 anni, dove quella di Saturno si fornisce in 30, e quella del Sole in uno; argumentando con simile proporzione, e dicendo: Se l'orbe di Saturno, per esser 9 volte maggiore dell'orbe del Sole, si rivolge in tempo 30 volte maggiore, per la ragione eversa quanto doverà esser grande quell'orbe che si rivolge 36.000 volte più tardo? si troverà, la distanza della sfera stellata dovere esser 10.800 semidiametri dell'orbe magno, che sarebbe 5 volte appunto maggiore di quello che poco fa la calcolammo dovere esser quando una fissa della sesta grandezza fusse quanto è il Sole. Or vedete quanto minore ancora dovrebbe, per tal rispetto, esser la diversità cagionata in esse dal movimento annuo della Terra. E quando con simil relazione noi volessimo argumentar la lontananza della sfera stellata da Giove e da Marte, quello ce la darebbe 15.000, e questo 27.000, semidiametri dell'orbe magno, cioè ancora maggior, quello 7 e questo 12 volte, che non ce la dava la grandezza della fissa supposta eguale al Sole.

SIMP. Mi par che a questo si potrebbe rispondere che 'l moto della sfera stellata si è doppo Tolomeo osservato non esser così tardo come esso lo stimò; anzi mi pare avere inteso che l'istesso Copernico è stato l'osservatore.

SALV. Voi dite benissimo, ma non producete cosa che favorisca punto la causa de i Tolemaici, li quali non hanno mai recusato il moto de i 36.000 anni nella sfera stellata, perché tanta tardità la facesse troppo vasta ed immensa; ché se tal immensità non era da concedersi in natura, dovevano prima che ora negare una conversione tanto tarda, che non potesse con buona proporzione adattarsi se non ad una sfera di grandezza intollerabile.

SAGR. Di grazia, signor Salviati, non perdiam più tempo in proceder per via di tali proporzioni con gente che sono accomodate ad ammetter cose sproporzionatissime, talché assolutamente con loro per questa strada non è possibile guadagnar nulla. E qual più sproporzionata proporzione si può immaginare di quella che questi tali trapassano ed ammettono, mentre che, scrivendo non ci esser più conveniente modo di ordinar le celesti sfere che 'l regolarsi con le diversità de' tempi de' periodi loro, mettendo di grado in grado le più tarde sopra le più veloci, costituita che hanno altissima la sfera stellata, come tardissima più di tutte, glie ne costituiscono una superiore, e per ciò maggiore, e la fanno muovere in ventiquattr'ore, mentre che la sua inferiore si muove in 36.000 anni? Ma di queste sproporzionalità se ne parlò a bastanza il giorno passato.

SALV. Vorrei, signor Simplicio, che sospesa per un poco l'affezione che voi portate a i seguaci della vostra opinione, mi diceste sinceramente se voi credete che essi nella mente loro comprendano quella grandezza che dipoi giudicano non poter, per la sua immensità, attribuirsi all'universo; perché io, quanto a me, credo di no, e mi pare che, sì come nell'apprension de' numeri, come si comincia a passar quelle migliaia di milioni, l'immaginazion si confonde né può più formar concetto, così avvenga ancora nell'apprender grandezze e distanze immense; sì che intervenga al discorso effetto simile a quello che accade al senso, che mentre nella notte serena io guardo verso le stelle, giudico al senso la lontananza loro esser di poche miglia, né esser le stelle fisse punto più remote di Giove o di Saturno, anzi pur né della Luna. Ma, senza più, considerate le controversie passate tra gli astronomi ed i filosofi peripatetici per cagione della lontananza delle stelle nuove di Cassiopea e del Sagittario, riponendole quelli tra le fisse, e questi credendole più basse della Luna: tanto è impotente il nostro senso a distinguere le distanze grandi dalle grandissime, ancor che queste in fatto siano molte migliaia di volte maggiori di quelle. E finalmente io ti domando, oh uomo sciocco: Comprendi tu con l'immaginazione quella grandezza dell'universo, la quale tu giudichi poi essere troppo vasta? se la comprendi, vorrai tu stimar che la tua apprensione si estenda più che la potenza divina vorrai tu dir d'immaginarti cose maggiori di quelle che Dio possa operare? ma se non la comprendi, perché vuoi apportar giudizio delle cose da te non capite?

SIMP. Questi discorsi camminan tutti benissimo, e non si nega che 'l cielo non possa superare di grandezza la nostra immaginazione, come anco l'aver potuto Dio crearlo mille volte maggiore di quello che è: ma non deviamo ammettere, nessuna cosa esser stata creata in vano ed esser oziosa nell'universo; ora, mentre che noi veggiamo questo bell'ordine di pianeti, disposti intorno alla Terra in distanze proporzionate al produrre sopra di quella suoi effetti per benefizio nostro, a che fine interpor di poi tra l'orbe supremo di Saturno e la sfera stellata uno spazio vastissimo senza stella alcuna, superfluo e vano? a che fine? per comodo ed utile di chi?

SALV. Troppo mi par che ci arroghiamo, signor Simplicio, mentre vogliamo che la sola cura di noi sia l'opera adequata ed il termine oltre al quale la divina sapienza e potenza niuna altra cosa faccia o disponga: ma io non vorrei che noi abbreviassimo tanto la sua mano, ma ci contentassimo di esser certi che Iddio e la natura talmente si occupa al governo delle cose umane, che più applicar non ci si potrebbe quando altra cura non avesse che la sola del genere umano; il che mi pare con un accomodatissimo e nobilissimo esempio poter dichiarare, preso dall'operazione del lume del Sole, il quale, mentre attrae quei vapori o riscalda quella pianta, gli attrae e la riscalda in modo, come se altro non avesse che fare; anzi nel maturar quel grappolo d'uva, anzi pur quel granello solo, vi si applica che più efficacemente applicar non vi si potrebbe quando il termine di tutti i suoi affari fusse la sola maturazione di quel grano. Ora, se questo grano riceve dal Sole tutto quello che ricever si può, né gli viene usurpato un minimo che dal produrre il Sole nell'istesso tempo mille e mill'altri effetti, d'invidia o di stoltizia sarebbe da incolpar quel grano, quando e' credesse o chiedesse che nel suo pro solamente si impiegasse l'azione de' raggi solari. Son certo che niente si lascia indietro dalla divina Providenza di quello che si aspetta al governo delle cose umane; ma che non possano essere altre cose nell'universo dependenti dall'infinita sua sapienza, non potrei per me stesso, per quanto mi detta il mio discorso, accomodarmi a crederlo: tuttavia, quando pure il fatto stesse in altra maniera, nessuna renitenza sarebbe in me di credere alle ragioni che da più alta intelligenza mi venissero addotte. In tanto, quando mi vien detto che sarebbe inutile e vano un immenso spazio intraposto tra gli orbi de i pianeti e la sfera stellata, privo di stelle ed ozioso, come anco superflua tanta immensità, per ricetto delle stelle fisse, che superi ogni nostra apprensione, dico che è temerità voler far giudice il nostro debolissimo discorso delle opere di Dio, e chiamar vano o superfluo tutto quello dell'universo che non serve per noi.

SAGR. Dite pure, e credo che direte meglio che noi non sappiamo che serva per noi: ed io stimo una delle maggiori arroganze, anzi pazzie, che introdur si possano, il dire "Perch'io non so a quel che mi serva Giove o Saturno, adunque questi son superflui, anzi non sono in natura"; mentre che oh stoltissimo uomo, io non so né anco a quel che mi servano le arterie, le cartilagini, la milza o il fele, anzi né saprei d'avere il fele, la milza o i reni, se in molti cadaveri tagliati non mi fussero stati mostrati, ed allora solamente potrei intender quello che operi in me la milza, quando ella mi fusse levata. Per intender quali cose operi in me questo o quel corpo celeste (già che tu vuoi che ogni loro operazione sia indrizzata a noi), bisognerebbe per qualche tempo rimuover quel tal corpo, e quell'effetto, ch'io sentissi mancare in me, dire che dependeva da quella stella. Di più, chi vorrà dire che lo spazio che costoro chiamano troppo vasto ed inutile, tra Saturno e le stelle fisse, sia privo d'altri corpi mondani? forse perché non gli vediamo? adunque i quattro pianeti Medicei e i compagni di Saturno vennero in cielo quando noi cominciammo a vedergli, e non prima? e così le altre innumerabili stelle fisse non vi erano avanti che gli uomini le vedessero? le nebulose erano prima solamente piazzette albicanti, ma poi noi co 'l telescopio l'aviamo fatte diventare drappelli di molte stelle lucide e bellissime? Prosuntuosa, anzi temeraria, ignoranza de gli uomini!

SALV. Non occorre, signor Sagredo, distendersi più in queste infruttuose esagerazioni: seguitiamo il nostro instituto, che è di esaminare i momenti delle ragioni portate dall'una e dall'altra parte, senza determinar cosa alcuna, rimettendone poi il giudizio a chi ne sa più di noi. E tornando su i nostri discorsi naturali ed umani, dico che questo grande, piccolo, immenso, minimo, etc., son termini non assoluti, ma relativi, sì che la medesima cosa, paragonata a diverse, potrà ora chiamarsi immensa, e tal ora insensibile, non che piccola. Stante questo, io domando in relazione a chi la sfera stellata del Copernico si può chiamare troppo vasta. Questa, per mio parere, non può paragonarsi né dirsi tale se non in relazione a qualche altra cosa del medesimo genere: or pigliamo la minima del medesimo genere, che sarà l'orbe lunare; e se l'orbe stellato si deve sentenziare per troppo vasto rispetto a quel della Luna, ogn'altra grandezza che con simile o maggior proporzione ecceda un'altra del medesimo genere, doverà dirsi troppo vasta, ed anco, per questa ragione, negarsi che ella si ritrovi al mondo: e così gli elefanti e le balene saranno senz'altro chimere e poetiche immaginazioni, perché quelli, come troppo vasti in relazione alle formiche, le quali sono animali terrestri, e quelle rispetto alle spillancole, che sono pesci, e veggonsi di sicuro essere in rerum natura, sarebbono troppo smisurati, perché assolutamente l'elefante e la balena superano la formica e la spillancola con assai maggior proporzione che non fa la sfera stellata quella della Luna, figurandoci noi detta sfera tanto grande quanto basta per accomodarsi al sistema Copernicano. Di più, quanto è grande la sfera di Giove, quanto quella di Saturno, assegnate per recettacolo di una stella sola, e ben piccola, in comparazione di una fissa? certo che se a ciascuna fissa si dovesse consegnar per suo ricetto tal parte dello spazio mondano, bisognerebbe far l'orbe, dove stanzia l'innumerabil moltitudine di quelle, molte e molte migliaia di volte maggiore di quello che basta per il bisogno del Copernico. In oltre, non chiamate voi una stella fissa, piccolissima, dico anco delle più apparenti, non che di quelle che fuggono la nostra vista? e le chiamiamo così in comparazione dello spazio circonfuso. Ora, quando tutta la sfera stellata fusse un corpo solo risplendente, chi è che non capisca che nello spazio infinito si può assegnare una distanza tanto grande, dalla quale tale sfera lucida apparisse così piccola ed anco minore di questo che dalla Terra ci pare adesso una stella fissa? di lì dunque giudicheremmo allora piccola quella medesima cosa, che ora di qui chiamiamo smisuratamente grande.

SAGR. Grandissima mi par l'inezzia di coloro che vorrebbero che Iddio avesse fatto l'universo più proporzionato alla piccola capacità del loro discorso, che all'immensa, anzi infinita, Sua potenza.

SIMP. Tutto questo che voi dite va bene; ma quello sopra di che la parte fa instanza, è l'avere a concedere che una stella fissa abbia ad esser non pure eguale, ma tanto maggiore del Sole, che pure amendue sono corpi particolari situati dentro all'orbe stellato. E ben parmi che molto a proposito interroghi quest'autore e domandi: "A che fine ed a benefizio di chi sono macchine tanto vaste? prodotte forse per la Terra, cioè per un piccolissimo punto? e perché tanto remote, acciocché appariscano tantine e niente assolutamente possano operare in Terra? a che proposito una spropositata immensa voragine tra esse e Saturno? frustratorie sono tutte quelle cose che da ragioni probabili non son sostenute".

SALV. Dall'interrogazioni che fa quest'uomo mi par che si possa raccorre, che quando si lasci stare il cielo, le stelle e le distanze, della quantità e grandezze ch'egli ha sin ora creduto (benché nissuna comprensibil grandezza egli già mai non se ne sia sicuramente figurata), ei penetri benissimo e resti capace de i benefizii che da esse provengano sopra la Terra, la quale non più sia una cosetta minima, né che esse sien più tanto remote che appariscano così piccoline, ma tanto grandi quanto basta per potere operare in Terra, e che la distanza tra esse e Saturno sia proporzionata benissimo, e che egli di tutte queste cose abbia molto probabili ragioni, delle quali ne averei volentieri sentito qualcuna; ma il vedere che egli in queste poche parole si confonde e si contraddice, mi fa credere ch' e' sia molto penurioso e scarso di queste probabili ragioni, e che quelle che ei chiama ragioni, sieno più tosto fallacie, anzi ombre di vane immaginazioni. Imperocché io domando adesso a lui, se questi corpi celesti operano veramente sopra la Terra, e se per tale effetto sono stati prodotti delle tali e tali grandezze, ed in tali e tali distanze disposti, o pure se non hanno che fare con le cose terrene. Se non han che fare con la Terra, sciocchezza grande è il voler noi terreni esser arbitri delle grandezze, e regolatori delle loro locali disposizioni, mentre siamo ignorantissimi di tutti i loro affari e interessi: ma se dirà che operano e che a questo fine siano indrizzati, viene ad affermare quello che per un altro verso egli medesimo nega ed a laudar quello che pur ora ha dannato, mentre diceva che i corpi celesti, locati in tanta lontananza che dalla Terra appariscan tantini, non possono in lei operar cosa alcuna. Ma, uomo mio, nella sfera stellata, già stabilita nella distanza che ella si trova e che da voi vien giudicata per ben proporzionata per gl'influssi in queste cose terrene, moltissime stelle appariscono piccolissime, e cento volte tante ve ne sono del tutto a noi invisibili (che è un apparire ancor minori che tantine): adunque bisogna che voi (contradicendo a voi medesimo) neghiate ora la loro operazione in Terra; o vero che (contradicendo pure a voi stesso) concediate che l'apparir tantine non detrae della loro operazione; o sì veramente (e questa sarà più sincera e modesta concessione) concediate e liberamente confessiate che 'l giudicar nostro circa le loro grandezze e distanze sia una vanità, per non dir prosunzione o temerità.

SIMP. Veramente veddi ancor io subito, nel legger questo luogo, la contradizion manifesta, nel dir che le stelle, per così dire, del Copernico, apparendo tanto piccoline, non potrebbero operare in Terra, e non si accorgere d'aver conceduto l'azione sopra la Terra a quelle di Tolomeo e sue, che appariscono non pur tantine, ma sono la maggior parte invisibili.

SALV. Ma vengo ad un altro punto. Sopra che fondamento dice egli che le stelle appariscano così piccole? forse perché tali le veggiamo noi? e non sa egli che questo viene dallo strumento che noi adoperiamo in riguardarle, cioè dall'occhio nostro? E che ciò sia vero, mutando strumento le vedremo maggiori e maggiori, quanto ne piacerà: e chi sa che alla Terra, che le rimira senza occhi, elle non si mostrino grandissime e quali realmente elle sono? Ma è tempo che, lasciate queste leggerezze, venghiamo a cose di più momento: e però, avendo io già dimostrato queste due cose prima, quanto basti por lontano il firmamento sì che in lui il diametro dell'orbe magno non faccia maggior diversità di quella che fa l'orbe terrestre nella lontananza del Sole, e poi dimostrato parimente come per far che una stella del firmamento ci apparisca della grandezza che noi la veggiamo, non è necessario porla maggiore del Sole, vorrei saper se Ticone o alcuno de' suoi aderenti ha tentato mai di investigare in qualche modo se nella sfera stellata si scorga veruna apparenza per la quale si possa più resolutamente negare o ammettere il moto annuo della Terra.

SAGR. Io per loro risponderei di no, né tampoco averne avuto bisogno; già che il Copernico stesso è che dice, tal diversità non vi essere, ed essi, argomentando ad hominem, glie l'ammettono, e sopra questo assunto mostrano l'improbabilità che ne segue, cioè che sarebbe necessario far la sfera tanto immensa, che una stella fissa, per apparirci grande come ci apparisce, converrebbe che in realtà fusse una mole così immensa che eccedesse la grandezza di tutto l'orbe magno: cosa che è poi, come essi dicono, del tutto incredibile.

SALV. Io son del medesimo parere, e credo appunto ch'egli argomentino contro all'uomo più per difesa d'un altro uomo, che per brama di venire in cognizion del vero; e non solamente non credo che alcun di loro si sia applicato al far tal osservazione, ma non son sicuro ancora se alcuno di essi sappia quale diversità dovesse produr nelle fisse il movimento annuo della Terra, quando la sfera stellata non fusse in tanta distanza che in esse tal diversità per la sua piccolezza svanisse: perché il cessare da tal inquisizione e rimettersi al semplice detto del Copernico, può ben bastare a convincer l'uomo, ma non già a chiarirsi del fatto, potendo esser che la diversità ci sia, ma non cercata, o, per la sua piccolezza o per mancamento di strumenti esatti, non compresa dal Copernico; che non sarebbe questa la prima cosa che egli, per mancanza di strumenti o per altro difetto, non ha saputa, e pur, fondato sopra altre saldissime conietture, affermò quello a cui parevano contrariare le cose non comprese da lui: ché, come già si disse, senza il telescopio né Marte poteva comprendersi crescer 60 volte, e Venere 40, più in quella che in questa positura, anzi le differenze loro appariscono minori assai del vero; tuttavia si è poi venuto in certezza, tali mutazioni esservi a capello quali ricercava il sistema copernicano. Or così sarebbe ben fatto ricercare, con quella esquisitezza che si potesse maggiore, se una tal mutazione che dovrebbe scorgersi nelle fisse, posto il moto annuo della Terra, effettivamente si osservasse; cosa che assolutamente credo non esser sin ora stata fatta da alcuno, e non solamente fatta, ma forse (come ho detto) né anco da molti ben inteso quel che cercar si dovrebbe. Né mi muovo a caso a dir così; perché già veddi certa scrittura a penna di uno di questi anticopernicani, che diceva, necessariamente dover seguire, quando tal opinion fusse vera, un continuo alzamento ed abbassamento del polo di 6 mesi in 6 mesi, secondo che la Terra in tanto tempo, per tanto spazio quant'è il diametro dell'orbe magno, si ritira or verso settentrione or verso austro; e pur gli pareva ragionevole, anzi necessario, che seguendo noi la Terra, quando fussimo verso settentrione, dovessimo avere il polo più elevato che quando siamo verso il mezo giorno. In questo medesimo errore incorse uno per altro assai intelligente matematico, pur seguace del Copernico, secondo che riferisce Ticone ne' suoi Proginnasmi a fac. 684, il quale diceva aver osservato mutarsi l'altezza polare ed esser diversa la state dal verno: e perché Ticone nega il merito della causa, ma non danna l'ordine, cioè nega il vedersi mutazione nell'altezza polare, ma non condanna tale inquisizione come non accomodata a conseguir quel che si cerca, viene a dichiararsi che egli ancora stima, l'altezza polare, variata o non variata di 6 mesi in 6 mesi, esser buona riprova per escludere o introdurre il movimento annuo della Terra.

SIMP. Veramente, signor Salviati, che a me ancora par che dovesse seguir l'istesso. Imperocché io non credo che voi mi negherete, che se noi camminiamo solamente 60 miglia verso tramontana, il polo ci si alzerà un grado, ed accostandosi parimente per altre 60 miglia al settentrione, ci si alzerà il polo un altro grado, etc.: ora, se l'accostarsi e di scostarsi 60 miglia solamente fa sì notabil mutazione nell'altezze polari, che doverà fare il trasportarvi la Terra, e noi insieme, non dirò 60 miglia, ma 60 migliaia?

SALV. Doverà fare (se si deve seguir cotesta proporzione) che il polo ci si alzerà mille gradi. Vedete, signor Simplicio, quanto può un'inveterata impressione! Voi, per esservi fissato nella fantasia per tanti anni che il cielo sia quello che si rivolga in ventiquattr'ore, e non la Terra, e che in conseguenza i poli di tal revoluzione siano nel cielo e non nel globo terrestre, non potete né anco per un'ora spogliarvi quest'abito e mascherarvi del contrario, figurandovi che la Terra sia quella che si muova solamente per tanto tempo quanto basta per concepir quello che ne seguirebbe quando questa bugia fusse vera. Se la Terra, signor Simplicio, è quella che si muove in se stessa in ventiquattr'ore, in lei sono i poli, in lei è l'asse, in lei è l'equinoziale, cioè il cerchio massimo descritto dal punto egualmente distante da i poli, in lei sono gli infiniti paralleli, maggiori e minori, descritti da i punti della sua superficie più e meno distanti da i poli; in lei sono tutte queste cose, e non nella sfera stellata, che, per essere immobile, manca di tutte, e solo con l'imaginazione vi si possono figurare, prolungando l'asse della Terra sin là dove terminando segnerà due punti sopraposti a i nostri poli, ed il piano dell'equinoziale disteso figurerà in cielo un cerchio a sé corrispondente. Ora, se il vero asse, i veri poli, il vero equinoziale terrestri non si mutano in Terra tuttavolta che voi ancora resterete nel medesimo luogo in Terra, trasportate pure la Terra dove vi piace, che voi già mai non cangerete abitudine né a i poli né a i cerchi né ad altra cosa terrena; e questo, per esser cotal trasportamento comune a voi ed a tutte le cose terrestri, ed il moto, dove è comune, è come se non vi fusse: e sì come voi non muterete abitudine a i poli terreni (abitudine, dico, sì che vi si alzino o vi s'abbassino), così parimente non la muterete a i poli figurati in cielo, tuttavoltaché per poli celesti intenderemo (come già si è definito) quei due punti che dall'asse terrestre, prolungato sin là, vi vengono segnati. È vero che si mutano tali punti nel cielo, quando il trasportamento della Terra vien fatto in tal modo, che il suo asse vadia a ferire in altri ed altri punti della sfera celeste immobile; ma non si muta la nostra abitudine ad essi, sì che il secondo ci si elevi più che il primo. Chi vuole che de i punti del firmamento, rispondenti a i poli della Terra, l'uno se gli alzi e l'altro se gli abbassi, bisogna camminare in Terra verso l'uno, allontanandosi dall'altro; ché il trasportar la Terra, e con lei noi medesimi (come ho già detto), non opera niente.

SAGR. Concedetemi in grazia, signor Salviati, ch'io spiani assai chiaramente questo negozio con un esempio, se ben grossolano, altrettanto però accomodato a questo proposito. Figuratevi, signor Simplicio, d'essere in una galera, e che stando in poppa abbiate drizzato un quadrante o altro strumento astronomico alla sommità dell'albero del trinchetto, come se voi voleste prender la sua elevazione, la quale fusse, verbigrazia, 40 gradi: non è dubbio, che camminando voi per corsìa verso l'albero 25 o 30 passi, tornando a drizzare il medesimo strumento alla medesima sommità dell'albero, troverete la sua elevazione esser maggiore, ed esser cresciuta, verbigrazia, 10 gradi; ma se in cambio di camminar i detti 25 o 30 passi verso l'albero, voi, restando fermo in poppa, faceste muover tutta la galera verso quella parte, credereste voi che, mediante il viaggio che ella avesse fatto de i 25 o 30 passi, l'elevazion del trinchetto vi si mostrasse di 10 gradi accresciuta?

SIMP. Credo ed intendo che ella non si vantaggierebbe né anco un sol capello per il viaggio di mille né di centomila miglia, non che di 30 passi, ma credo bene che, se traguardando la sommità del trinchetto si fusse incontrato una stella fissa ad esser nella medesima dirittura, credo, dico, che tenendo fermo il quadrante, doppo aver navigato verso la stella 60 miglia, la mira batterebbe bene alla punta del trinchetto come prima, ma non già più alla stella, la quale mi si sarebbe elevata un grado.

SAGR. Ma voi non credete già che 'l traguardo non battesse a quel punto della sfera stellata che risponde alla dirittura della sommità del trinchetto?

SIMP. Questo no, ma il punto sarebbe variato, e rimarrebbe sotto alla stella prima osservata.

SAGR. Così sta per appunto. Ma sì come quello che in quest'esempio risponde all'elevazion della sommità dell'albero non è la stella, ma il punto del firmamento che si trova nella dirittura dell'occhio e della cima dell'albero, così nel caso esemplificato quello che nel firmamento risponde al polo della Terra, non è una stella o altra cosa fissa del firmamento, ma è quel punto nel quale va a terminar l'asse terrestre dirittamente prolungato sin là, il qual punto non è fisso, ma ubbidisce alle mutazioni che facesse il polo terreno e però Ticone o altri, che avevano portato questa instanza dovevano dire che a tal movimento della Terra quando vero fusse, si dovrebbe conoscere ed osservar qualche diversità nell'alzamento ed abbassamento non del polo, ma di alcuna stella fissa verso quella parte che risponde al nostro polo.


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